di Nicola Venturini –
Una parola, un suono, un simbolo indelebile nella mente e nei cuori di milioni di persone in tutto il mondo. Quella grande N che ammiravo e rincorrevo da bambino, quella N che mi faceva sentire a casa, rappresenta per ormai tre generazioni di gamers uno squarcio di vita che difficilmente si può dimenticare. La parola che intendo, è Nintendo, termine che significa “affidare la buona sorte ai cieli”, nomen omen… poi capirete il perché.
Fondata a Kyoto nel 1889 dall’artista imprestato all’imprenditoria Fusajiro Yamauchi, l’azienda iniziò come manifattura di carte da gioco. La Nintendo che la maggior parte delle persone conoscono è infatti nata solo nel 1966. In quel periodo, sotto Hiroshi Yamauchi, il presidente che per più tempo ha occupato tale carica (dal 1950 al 2002), Nintendo mise in produzione un gadget che impiegando un sistema di asticelle incrociate e una impugnatura a forbice andava a costituire un braccio estensibile. Il gadget vendette milioni di unità e aprì, negli anni ‘70, la strada alla vendita di una serie di piccoli prodotti sui generis che includevano anche i primi giochi elettronici.
Negli anni ‘80 il grande boom, con il mercato del videogame che inizia a muovere i suoi primi passi la compagnia decolla e raggiunge l’Olimpo del settore dell’entertainment, vetta da cui non è mai scesa se non per oculate quanto visionarie scelte del board. Negli anni ’00 e seguenti un team di veterani fuori dal comune ha diretto il colosso giapponese, con Satoru Iwata (deceduto nel 2015) al vertice e subito sotto Satoru Shibata e Fils-Aimè per le macro aree estere.

Questa struttura in apparenza triangolare è stata sempre presente in Nintendo, solo i nomi e i volti variavano. Il modello tripartito “vertice al cielo angoli a terra”, data la sua grande potenza gerarchica e di controllo, è però da sempre lo schema prediletto per il business occidentale…
In Giappone, dopo lo zaibatsu, modello d’impresa a struttura familiare e rigidamente verticale, a seguito del miracolo economico che seguì il secondo conflitto mondiale si impose il keiretsu, un sistema commerciale dalla grande solidità che prevedeva una rete di compartecipazioni tra aziende partner. Questo è il japanese business model che il mondo moderno ha conosciuto e che ha per vari aspetti invidiato, dato il suo alto grado di solidità garantito dalle compartecipazioni.
La tecnica di non mettere tutte le uova in un paniere o di “diversificare il portfolio” come si suole dire oggi, funziona sempre, garantito. Nessuna novità in questo, se non ché il sistema giapponese, al contrario degli altri, le uova le ha divise e le ha continuate a mantenere divise solo tra fidatissimi connazionali. Insomma, di furbe compartecipazioni straniere, neanche l’ombra. Tutto rimane in casa, in famiglia, al sicuro.
Grazie a questo modus operandi le aziende orientali hanno mostrato i denti alle sorelle d’oltreoceano, spesso mancanti di una visione unitaria e di una solidità interna a causa delle infiltrazioni estere nel board e di quell’ossessione diabolica chiamata finanza. Ad oggi però, nell’era della globalizzazione e dell’universalismo, anche il keiretsu è in fase di trasformazione e sta lasciando il posto ad un modello ancora nuovo, una sorta di ibrido che mostra le caratteristiche di entrambi i mondi. Come è ormai infatti evidente, questa è la tendenza del secolo: l’ibridazione.
Nonostante la cosa non mi faccia ben sperare, devo dire che in ambito strettamente commerciale Iwata, prima della sua prematura scomparsa nel 2015 e il subentro di Tatsumi Kimishima, ha contribuito a mantenere il livello qualitativo altissimo, riuscendo nel contempo a non infrangere l’affascinante alone di mistero teso a nascondere le dinamiche aziendali più intime, da sempre marchio di fabbrica Nintendo. L’occidentalizzazione, inevitabile per i tanti colossi industriali del sol levante, sembrerebbe insomma non aver troppo intaccato l’azienda dalle tre N.
Viene allora da chiedersi, considerando il secolo abbondante di storia alle spalle, quale sia segreto della longevità del colosso giapponese. Ma forse, ancor più di una questione prettamente temporale, il vero punto da analizzare è un altro. Tante imprese sono rimaste a galla per lungo tempo, non per questo avendo apportato nulla di buono o utile al mondo, anzi a volte facendo davvero del male. La domanda giusta oggi è sempre una domanda ibrida, non si tratta qui solo di una mera questione di quantità. Potremmo porla così:
Come ha fatto Nintendo per tutti questi anni ad essere rimasto stabile sul cavallo imbizzarrito che è il mercato videoludico moderno?
Stabilità, si, questa è la chiave che ci aprirà al segreto di Nintendo.
Cerchiamo allora di pensare a ciò che che determina la stabilità di un oggetto.
O per porla diversamente, cos’è a determinare un qualsivoglia livello di equilibrio?
La forma.
Questa proprietà intrinseca dell’oggetto viene infatti prima della sua stabilità, non è qualcosa che gli deriva dall’esterno ma fa parte della sua stessa natura. La natura di un oggetto viene a sua volta conferita da colui che lo ha plasmato. E’ il suo creatore che insuffla nella sua creazione questa natura, che per forza di cose deve quindi egli stesso possedere e conoscere dentro di sé, prima dell’atto creativo.
E qual è la forma più stabile ce lo insegna il buon Dante nel ventiquattresimo del Paradiso quando, sentendosi finalmente resistente ai colpi della sorte, si assimila ad un poligono:
«mentre ch’io era a Virgilio congiunto
su per lo monte che l’anime cura
e discendendo nel mondo defunto,
dette mi fuor di mia vita futura
parole gravi, avvegna ch’io mi senta
ben tetragono ai colpi di ventura».
Qual’è quindi questa forma?

Il cubo.
Credevate non ci avessero già pensato a Nintendo?
Il solido “coi piedi per terra” è per eccellenza tetragonale, a quattro facce.
Il classico modello tripartito occidentale a piramide con un ruolo apicale e due diretti subordinati ce l’abbiamo nelle vene, è un qualche modo un’idea trinitaria riportata in una diversa area della vita. Dinamico, funzionale, ma non sempre stabile e spesso poco democratico. Con un quarto vertice, allo stesso livello degli altri che così vanno tutti sullo stesso piano, il modello Nintendo invece esce dagli schemi, anche quelli giapponesi.
Quello su cui punta tutta l’impalcatura infatti non è più il CEO dell’azienda, ma il peso viene diviso dai quattro pilastri senza che però essi perdano la loro identità. Effettivamente è un’idea più “orientale”, molto simile a quella dei quattro elementi, forme di aggregazione della materia che si compensano tra loro e che derivano da un quinto elemento non fisico: l’etere. Lascio a voi immaginare in questa formula aziendale cosa potrebbe rappresentare questo fantomatico etere, dal quale tutti gli altri elementi promanano. Noi andremo troppo sulla metafisica, e non è questo il luogo…
Quello che consente una sorta di “divisione che non separa” tra i vertici Nintendo è solo e unicamente la loro grande assenza di ego ma soprattutto, visto il suo enorme peso specifico, quella del quarto elemento, silenziosamente, il vero company leader. Questo uomo che ama a tal punto Nintendo da stare al suo posto per il benessere dell’azienda e a cui allo stesso tempo Nintendo deve davvero tutto, è il vero deus ex machina dell’azienda. Lui è…

Shigeru Miyamoto.
Celebre creatore di Donkey Kong, Mario e Zelda, genio creativo della compagnia e ad oggi il general manager del suo reparto R&D.
Entrato in Nintendo molto giovane come game designer, dopo i primi flop commerciali inanella una serie di successi planetari che lo portano a diventare lo “Spielberg del videogames”, punta di diamante assoluta del panorama del gaming vita natural durante. Un uomo che ha stravolto la mia vita e quella di milioni di altri quando ha impartito ad un’intera generazione delle lezioni di vita da vero maestro attraverso quel capolavoro che è The Legend of Zelda: Ocarina of Time. Stiamo parlando del signore che ha creato Super Mario, che cosa volete che vi dica…
Giusto nello scorso articolo ho disquisito di come il suo pensiero sia sempre stato avanti anni luce, tanto da intercettare in tempi non sospetti princìpi di marketing ancora lungi dal venire. Ma qui ve lo volevo brevemente mostrare sotto una veste diversa, per cui non è conosciuto al grande pubblico. Una veste interiore, poi manifestata all’esterno, che come quella di Dante potremmo assumere di forma tetragonale. Quella di un uomo che vive qui tra noi, ma sembra non essere influenzato dal mondo.
Ricordo, proprio per farvi un esempio, quando il mercato delle consolle era dominato da Sony (Playstation) e Microsoft (Xbox). Nonostante fossi in piena fase rock band e quindi da anni non giocassi più a videogiochi, notai comunque dal basso dei miei quindici anni la manovra folle ma allo stesso tempo geniale del team Nintendo. L’azienda giapponese introdusse infatti proprio in quel momento difficilissimo la Wii, una consolle con attributi totalmente differenti dai due prodotti di successo di Sony e Microsoft.
Facendo ciò, invece di targetizzare i giocatori abituali, la Wii andò a stuzzicare un gruppo più ampio consentendo una esperienza di gioco concentrata più sull’interattività del medium e sul divertimento. Oltre a questo Nintendo introdusse il controller wireless dotato di un sensore di controllo di movimento, creando così un prodotto completamente differente rispetto ai suoi competitors. Miyamoto la chiama:
Nintendo Difference.
Un genio del gaming, e non meno del marketing. E poi, di chi credete sia stata la follia? Sua, sempre sua.
La stabilità di Miyamoto negli anni di piombo di Nintendo, quasi vivesse in una dimensione parallela, è ciò che rende tetragonale questo mitomane bambino che sembra uscito dalle pagine del Kojiki giapponese, genio adulto inspiegabilmente senza ego.
Il suo modo assolutamente rivoluzionario di vedere il mondo, la vera Miyamoto Difference, deriva da due caratteristiche che in Occidente si sono in gran parte perse: semplicità e umiltà, proprio ciò che distingue un bambino da un adulto.
Tanti ampollosi discorsi su company strategies, marketing policies, financial e via dicendo, ma “struca struca” solo queste due semplici virtù hanno tenuto in equilibrio Nintendo durante i turbolenti anni della Play Station e dell’XBox, e lo sostengono anche ora. Queste sono le due virtù con cui Miyamoto ha tentato di riconnetterci al bambino che vive dentro di noi, facendoci ricordare per qualche momento cosa dovrebbe significare essere veramente adulti.
Nihil sub sole novum…
“Anche quando creo un gioco per divertire i bambini, voglio sempre raggiungere quel livello di qualità e contenuto che anche un adulto potrebbe apprezzare, in altre parole, concepire un videogame per i bambini è più difficile che farlo per un pubblico adulto”.
Shigeru Miyamoto