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George Soros: l’uomo che difende il mondo da se stesso

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Di tutti i magnati e filantropi del ventesimo secolo, nessuno è più complesso o misterioso di George Soros. Il suo budget di $ 873 milioni nel 2013 è classificato come il secondo più grande budget per la filantropia privata negli Stati Uniti, ovviamente dopo quello della Bill and Melinda Gates Foundation di $ 3,9 miliardi. A partire dal 2020, il suo budget è aumentato a $ 1,2 miliardi.

Come Carnegie, JP Morgan e i Rockfeller ha ammassato miliardi attraverso spietate manovre economiche solo per poi girarsi indietro e donare la maggior parte delle sue fortune per portare avanti la sua filosofia personale, un riflesso del pensiero del celebre filosofo Karl Popper. Soros può muovere interi mercati semplicemente aprendo bocca, dando un’opinione, o destabilizzare un governo vendendo o comprando la sua valuta.

Ad oggi il magnate è molto preoccupato per il futuro dell’economia mondiale, che sente di dover difendere e tutelare contro gli attacchi di… altri George Soros!

Io sono un player e il gioco va regolato. Ci devono essere regole d’ingaggio.

George Soros

Soros secondo i media

Bill O’Reilly, di Fox News, tenne un monologo di quasi dieci minuti su Soros nel 2007, definendolo un “estremista” e sostenendo che fosse «pericoloso e fuori dagli schemi».

Io sono qui per fare soldi, non guardo alle conseguenze economiche e sociali di ciò che faccio. 

Soros è un uomo che ribalta ogni prospettiva, mettendosi sempre al centro dei riflettori. Quando sostiene di dover “difendere il mondo da se stesso” sembra quasi auto assurgersi a katechon economico, “colui che trattiene” il mysterium iniquitatis, il male, figura apocalittica tornata in voga grazie alle recenti lettere di Mons. Viganò a Trump e alla Chiesa. Insomma, Soros sembrerebbe un katechon all’incontrario, che si auto designa tale. Uno che ha a grande cuore la sicurezza degli altri, ma da se stesso.

Il trucco con cui elude ogni chiarezza è la volatilità, in particolare sulle sue posizioni economico-politiche e morali, che acquistano una gamma di sfumature tale da non essere facilmente inquadrabili. Ciò crea  grande confusione, ma si sa che solo nel caos può sopravvive il leviatano. In questi casi la pista da seguire, a mio parere, è quella di studiare i comportamenti più paradossali e contro intuitivi messi in atto da questi strani personaggi. Bisogna fiutare la paura, come farebbe un segugio. Perché quasi tutti gli uomini di potere di paura ne hanno tanta, ed è un paura nascosta dietro montagne di soldi, industrie, possedimenti e via dicendo, dietro il muro di sicurezza che costruiscono intorno a loro. Per fare un esempio eclatante citerei Bill Gates e il suo ipersanitarismo diffuso ormai in tutto il mondo, che nasconde una sua terribile paura interiore. O viene in mente anche l’insicuro Zuckerberg

All’alba del 2021, le chiavi per svelare gli intenti di questi uomini secondo me sono principalmente due. Una, superficiale e non sempre sicura, è studiare la linea di comportamento che attuano nei riguardi del punto nodale della geopolitica mondiale, Israele. L’altra, profonda e quasi sempre infallibile, è indagare sulle loro radici.

Provo, mettendo da parte ogni pregiudizio, a fare questa analisi su Soros traendo il materiale semplicemente da Wikipedia e Youtube.

Le tre posizioni di Soros

Le sue posizioni riguardo a Israele sono di tre tipi. La prima posizione è estrema, ed è grazie a questa che depista ogni facile cospirazionismo. Alla domanda su cosa pensasse dello stato israeliano, sul New Yorker, Soros ha risposto: «Non nego agli ebrei il diritto a un’esistenza nazionale, ma non voglio averci niente a che fare». Secondo le e-mail hackerate rilasciate nel 2016, la Open Society Foundation di Soros ha un obiettivo autodefinito di “sfidare le politiche razziste e antidemocratiche di Israele” nei forum internazionali, in parte mettendo in discussione la reputazione di Israele come democrazia. Il magnate ha finanziato ONG che sono state attivamente critiche nei confronti delle politiche israeliane, inclusi gruppi che si battono per il movimento di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni contro Israele.

Durante una cerimonia di premiazione per Imre Kertész (scrittore ungherese sopravvissuto ai campi nazisti), Soros ha detto che le vittime di violenze e abusi stavano diventando «autori di violenza», suggerendo che questo modello spiegasse il comportamento di Israele nei confronti dei palestinesi. Tali affermazioni gli hanno portato molti fischi. Ore dopo, in un apparente tentativo di allearsi tra Israele e l’Ungheria, il Ministero degli Affari Esteri israeliano ha emesso un “chiarimento”, denunciando Soros, affermando che «mina continuamente i governi democraticamente eletti di Israele finanziando organizzazioni che diffamano lo stato ebraico e cercano di negarlo il diritto di difendersi».

Poi si passa alla seconda posizione, quella moderata. Parlando prima di una conferenza del 2003 della Jewish Funders Network, Soros ha affermato che le amministrazioni di George W. Bush negli Stati Uniti e di Ariel Sharon in Israele, e anche le conseguenze non intenzionali di alcune delle sue stesse azioni, stavano parzialmente contribuendo a un nuovo antisemitismo europeo. Il filantropo ebreo Michael Steinhardt, che ha organizzato l’apparizione di Soros alla conferenza, ha chiarito: «George Soros non pensa che gli ebrei dovrebbero essere odiati più di quanto meritino di essere». Soros ha anche affermato che gli ebrei possono vincere l’antisemitismo «rinunciando alla tribalità».

Sempre Soros dichiara: «Non sottoscrivo i miti propagati dai nemici di Israele e non incolpo gli ebrei per l’antisemitismo. L’antisemitismo precede la nascita di Israele. Né le politiche di Israele né i critici di quelle politiche dovrebbero essere ritenuti responsabili dell’antisemitismo. Allo stesso tempo, credo che gli atteggiamenti verso Israele siano influenzati dalle politiche israeliane, e gli atteggiamenti verso la comunità ebraica siano influenzati dal successo della lobby pro-Israele nel sopprimere punti di vista divergenti».

Infine si passa alla terza posizione, quella morbida, ovviamente più intima e familiare. Il figlio di Soros, Alexander, ha detto in un’intervista che suo padre si preoccupa di Israele e che «vorrebbe vedere Israele a immagine di Yitzhak Rabin (ex Primo Ministro di Israele e Nobel per la pace nel ’94). Le sue opinioni sono più o meno le opinioni comuni a Meretz e Partito laburista». Secondo Alexander, Soros sostiene una soluzione a due stati. Il giovane Soros racconta che dopo il suo bar mitzvah nel 1998, suo padre gli disse: «Se sei seriamente intenzionato a essere ebreo, potresti prendere in considerazione l’idea di immigrare in Israele».

Questo è molto sommariamente l’insieme delle posizioni che il magnate ungherese mantiene nei confronti dello stato di Israele. Va da sé che non si capisce quale sia la sua vera linea guida, a parte il denaro. Bisogna allora utilizzare la seconda chiave e andare a scandagliare ancora più a fondo, nelle profondità, fino ad arrivare alle radici. Prima ancora di diventare uno degli studenti di Popper alla London School of Economics, ed in seguito l’investitore miliardario che tutti conosciamo, chi era George Soros?

L’uomo dietro alla maschera

György Schwartz nacque a Budapest nel Regno d’Ungheria da genitori ebrei, abbienti e ben istruiti che, come molti ebrei ungheresi della classe medio-alta dell’epoca, erano a disagio con le loro radici. Egli ha ironicamente descritto la sua casa come “una casa antisemita ebraica”. Nel 1936, la sua famiglia cambiò il proprio nome da Schwartz (e qui chi ha intelligenza…) ebreo-tedesco a Soros, come camuffamento protettivo nell’Ungheria sempre più antisemita. Al padre Tivadar piacque il nuovo nome perché palindromo e per il suo significato. In ungherese, soros significa “prossimo in linea” o “successore designato”. Ricordiamoci che in nomen omen, in particolare per la tradizione ebraica…

Quando i nazisti occuparono Budapest nel 1944 Soros padre era un avvocato di successo, viveva su un’isola nel Danubio, e per recarsi in città attraversava il fiume con la sua barca a remi. Sapendo che c’erano problemi in vista per gli ebrei decise di dividere la sua famiglia. Comprò loro documenti contraffatti, corruppe un funzionario governativo affinché prendesse con lui l’allora quattordicenne George, giurando che era il suo figlioccio e che era cristiano.

Per la sopravvivenza il ragazzo pagò un prezzo inconsapevolmente molto alto.

Mentre centinaia di migliaia di ungheresi ebrei venivano spediti alla morte nei campi di concentramento, George Soros accompagnava il suo falso padrino nei suoi turni di confisca delle proprietà ai suoi stessi fratelli ebrei. Di questo episodio, in una vecchia intervista del ’99 andata in onda sulla rete americana CBS nel programma 60 Minutes, il diretto interessato afferma:

«Sono un ebreo ungherese che è sfuggito all’Olocausto fingendosi cristiano e che ha visto coi suoi occhi molte persone venire spedite verso i campi di sterminio.

Avevo quattordici anni e direi che è proprio allora che il mio carattere è stato forgiato. Una persona dovrebbe pensare al futuro, dovrebbe capire e anticipare gli eventi. Quella è stata una tremenda minaccia del male, un’esperienza molto personale del male».

A questo punto l’intervistatore fa una domanda apparentemente ingenua e semplice, ma al contempo allusiva e penetrante: «La mia comprensione dei fatti è che lei l’abbia scampata grazie a questo protettore che ha giurato che lei fosse il suo figlio adottivo, e che lei ha aiutato/accompagnato nella confisca dei beni agli ebrei. Voglio dire… suona come un’esperienza che manderebbe molte persone dallo psichiatra. Fu difficile per lei?».

Soros, guardando verso l’alto, risponde: «No no, per niente. Forse da bambino non vedi la connessione, ma non mi creò alcun problema».

L’intervistatore incalza: «Nessun problema quindi, nessun senso di colpa? Per esempio il fatto che da ebreo lei fosse lì a guardare queste persone che se ne andavano nei campi di concentramento non la spingeva a pensare che facilmente lei sarebbe potuto essere in mezzo a loro, che lei in un certo senso avrebbe dovuto essere in mezzo a loro… niente?».

Soros, alzando più volte le sopracciglia, risponde non senza qualche esitazione: «Certo, avrei potuto essere quello dall’altra parte, quello a cui è stato tolto qualcosa. Ma, ma… (guardando a lungo verso il basso, ndr) non aveva senso che io avessi dovuto essere lì perché… quello era uh, beh… (tentenna poi sorride cambiando discorso, ndr) in realtà, scherzosamente, è proprio come nei mercati. Se io non fossi stato lì, qualcun altro avrebbe preso il mio posto, che io ci fossi stato o no. Ero solo un spettatore, la proprietà veniva portata via in ogni caso (dagli ebrei, ndr). Io non ho avuto alcun ruolo nel portare via le proprietà, quindi non avevo alcun senso di colpa».

L’intervistatore sceglie di chiosare con un classico, quello che riporta tutto a zero, all’essenza dell’uomo: «Lei è religioso?».

Soros, glaciale: «No».

L’intervistatore: «Crede in Dio?».

Soros, glaciale: «No».

Il programma si chiude con uno spezzone di un’altra intervista dove il magnate dice: «In realtà quello è stato probabilmente il più felice anno della mia vita, quell’anno in Germania per me è stata un’esperienza molto positiva. È strano, vedi incredibile sofferenza intorno a te e sei in una situazione di considerevole pericolo, ma hai 14 anni e non credi che ciò possa effettivamente toccarti.

hai fede in te stesso e in tuo padre. È stata un’esperienza felice, esilarante» …

Conclusioni

La mia analisi finisce qui, non voglio infierire, né sta a me giudicare. Lascio ad ognuno trarre le proprie personalissime conclusioni. L’unica cosa che mi sento di dire è di non farsi prendere dalle facili emozioni, perché in questi uomini apparentemente pacati e ragionevoli, di emozioni ne rimangono ben poche e credo, seppur in minima parte, di avervelo provato. Non è nemmeno cattiveria, è proprio mancanza di qualcosa. Un vuoto, una paura, una fame che si cerca invano di soddisfare costruendo un idolo di se stessi, sostenuto da denaro, potere, e controllo sugli altri. Idolo che poi viene inesorabilmente divorato da quella stessa fame.

Veneto. Ex curatore di magazine e libri, approfondisce ora il mondo dell’editoria digitale e del web marketing. Ama la montagna e le lunghe camminate. Frase preferita: “chi no ga testa, ga gambe”.

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