Il 20 gennaio 2009, nel corso della cerimonia per la sua inaugurazione a presidente, Barack Obama invitò il pastore evangelico Rick Warren a pronunciare l’invocazione. La comunità LGBTQ americana aveva guardato con grande speranza all’elezione di Obama, quale paladino dei loro disattesi diritti civili; ma la presenza del pastore Warren nel momento solenne dell’inizio della sua presidenza, rappresentava una incongruenza inconcepibile. Infatti questi, dietro il megafono della sua mega-chiesa californiana, era stato ed era il campione che lottava per abolire il matrimonio fra coppie dello stesso sesso.
Una curiosità: Barack Obama è stato recentemente ospite nella trasmissione televisiva di Fabio Fazio, A che tempo che fa durante la quale ha dichiarato: “Dobbiamo investire nella democrazia“, che poi è il tema di questo stesso articolo. Andiamo al punto.
La scelta di Obama
La scelta di Obama era stata simbolica e voleva significare la buona fede della nuova amministrazione nel voler unificare un paese troppo polarizzato. Egli aveva condotto la sua campagna elettorale certamente su una piattaforma liberale, ma anche sulla presunzione che gli avversari repubblicani fossero giocatori razionali e rispettosi dell’esperimento democratico sancito dalla Costituzione. Per quest’ultimo motivo la sua agenda politica fu sempre inquinata dalla continua ricerca di una condivisione da parte dell’opposizione repubblicana.
Ricerca infruttuosa e controproducente, che ha finito con l’annacquare ed a volte travisare l’azione della sua amministrazione.
12 anni dopo, Joe Biden, un politico considerato molto meno progressista di Obama, sta avanzando, senza chiedere o cercare scuse, un’agenda politica che finalmente fa virare il Paese a sinistra, abbandonando quel mitico centro che, volendo bilanciare istanze contrapposte, ha sempre deluso tutti.
Infatti Biden ha già inviato al Congresso un audace atto legislativo sull’immigrazione che include un percorso verso la cittadinanza, espande l’accesso alla “green card” (documento che permette ai non cittadini di vivere e lavorare negli US), e fortifica il programma DACA (Deferred Action for Childhood Arrivals) che protegge gli immigrati giunti negli US da bambini, stabilito da Obama nel 2012. Ha interrotto i lavori per la costruzione del muro fra gli US ed il Messico e quelli del “Keystone XL pipeline” fra US e Canada’ (un oleodotto a cui gli ambientalisti si opponevano sin dal momento dell’inizio dei lavori nel 2010). Ha introdotto una interpretazione più aggressiva del “Title VII” (parte del Civil Rights Act del 1964 che proibisce la discriminazione lavorativa basata su razza, colore, sesso, religione e nazionalità), estendendo la protezione ai transgender e gay, ed oltre che nel lavoro, anche nella casa e nell’educazione.
Istanze liberali
In passato queste istanze liberali nel campo dei diritti civili, erano state usate dai democratici come merce di scambio, per raggiungere degli obiettivi apparentemente più pressanti. Questo tipo di politica, di clintoniana memoria, sembra essere svanito con Biden e sbalordisce molte testate giornalistiche, abituate ad osservare il servilismo dei democratici nel confronto con i repubblicani.
Per esempio ci si domanda come mai Biden non abbia incluso fra i suoi ministri nessun repubblicano, come ha fatto Obama col repubblicano Robert Gates, chiamato a svolgere la funzione di Ministro della Difesa. Ci si meraviglia anche per la solerzia e velocità con cui Biden, per mezzo di “Executive Orders” (direttive del presidente atte a dirigere le operazioni del governo federale) ha cancellato e spesso sovvertito il legato di Trump. E ci si chiede, esterefatti, quali ripercussioni queste iniziative unilaterali avranno nel funzionamento dei comitati congressuali.
Sia durante le primarie che nella campagna presidenziale, Biden aveva espresso un anelito alla “unità” del paese; nel discorso inaugurale la parola “unità” l’aveva ripetuta 11 volte e tutti l’avevano interpretata come il solito appello al consueto compromesso bipartitico. Ma qualsiasi cosa avesse voluto dire con i suoi appelli unitari, adesso appare chiaro che il vero significato era riposto in un incitamento ad unirsi per salvare l’esperimento democratico; non puntava ad unire partiti troppo distanti ideologicamente, ma il popolo americano. Senza compromessi. Non vi possono essere compromessi quando in gioco vi è l’”anima dell’America”. Parole sue in campagna elettorale.
In altre parole, per contrastare il suprematismo bianco ed il veleno corrosivo della disinformazione, non si può arrivare a compromettere i propri valori democratici.
Unità e Costituzione
Nel discorso inaugurale Biden ha anche ribadito che i legislatori che hanno giurato di onorare la Costituzione e di proteggere la nazione, hanno la “speciale responsabilità di difendere la verità e sconfiggere la menzogna”.
Come risposta i repubblicani stanno ricorrendo ai vecchi trucchi, dichiarando l’impeachment di Trump divisivo, ed intanto ignorano quanto veramente divisivo sia stato l’assalto al Capitol col tentativo palese di sovvertire il risultato di una elezione popolare. La House Speaker Nancy Pelosi ha dichiarato che non si può sorvolare sul fatto che Trump abbia incitato una insurrezione, come se non fosse successo niente. “Questo non è unificare”, ha dichiarato.
Ma come si fa a ragionare con un partito che nel 2017 ha tagliato le tasse a nababbi e corporazioni per 2 trilioni di dollari, mentre nel 2021 ritiene che 1,9 trilioni, per combattere il coronavirus, salvare l’economia evitando 10 anni di recessione, sia un prezzo troppo alto che inciderebbe negativamente sul debito pubblico. Lo stesso discorso fatto con Obama nel 2009, quando il sistema bancario ed industriale americano era collassato, ed uno stimolo economico era necessario come l’acqua per un disidratato.
Evidentemente per una certa mentalità conservatrice, togliere ai poveri per dare ai ricchi è solida politica economica, mentre il contrario è spreco di denaro pubblico.
Alla sua prima conferenza stampa come portavoce di Biden, Jen Psaki, a un giornalista preoccupato per l’entità dello stimolo, ha risposto retoricamente: “cosa vogliamo tagliare, il fondo per l’assicurazione di disoccupazione, la distribuzione dei vaccini, l’apertura delle scuole, le risorse sanitarie?”.
Inoltre Psaki ha confermato che Biden avrebbe richiesto un consenso bipartitico, ma se questo fosse venuto meno, avrebbe ricorso al processo di “Reconciliation” (un atto legislativo del 1974 che permette, in situazioni di emergenza, l’approvazione di misure finanziarie con maggioranza semplice e senza ostruzionismi). E puntualmente Biden non l’ha smentita, e dopo un rapido tentativo di accordo fallito, lo stimolo Covid è già passato al Senato con maggioranza semplice di 51 a 50, con la VP Kamala Harris a rompere la parità fra i due schieramenti contrapposti.
8 anni da vice presidente
Biden sta facendo tesoro della sua esperienza di 8 anni da VP nell’amministrazione Obama ed è deciso ad usare tutti i mezzi che la Costituzione gli mette a disposizione per perseguire un’azione decisiva, senza passare attraverso veti politici atti solo a sminuire il proprio mandato. Forte anche del credito dei legislatori democratici, anch’essi, dai più liberali ai più moderati, dopo 4 anni di Trump, decisi ad un’azione unilaterale che rompa gli schemi centristi ed accomodanti del passato.
Intanto i repubblicani rimangono fermi ai punti cardini del reaganismo, gli stessi che hanno permesso ad un demagogo populista come Trump di appropriarsi del loro partito. Ma per riconquistare un elettorato deluso ed imbarazzato, ci vorranno ben altre dosi creative e probabilmente un ritorno alle origini, quando il loro partito espresse un presidente come Abraham Lincoln.
Mentre Biden è completamente consapevole del momento e la sua unificazione non è rivolta tanto al GOP, quanto a quel 65% del popolo americano che gli esprime apprezzamento e lo considera un antidoto ad un partito fazioso e sedizioso.