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Assalto al Capitol Hill: i documenti resi pubblici

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I documenti resi pubblici sinora dalla Commissione Congressuale sull’assalto al Capitol Hill del 6 gennaio, mostrano una generale preoccupazione da parte dei repubblicani su quanto stava avvenendo. Funzionari della Casa Bianca, membri conservatori del Congresso e Donald Trump Jr, erano semplicemente terrorizzati.

Il terrore dei repubblicani

Qualcuno temeva le conseguenze politiche, altri, asserragliati nelle loro stanze al Capitol, temevano per la loro stessa incolumità fisica. Ma le carte mostrano anche un più profondo disegno su come si volesse sovvertire il risultato delle elezioni ed instaurare Trump al governo della nazione, invocando uno stato di emergenza dittatoriale. Il tutto nella migliore tradizione di una banana repubblic!

Il 6 gennaio era il giorno in cui il Congresso si sarebbe riunito ed il Vice Presidente avrebbe ratificato il risultato elettorale, e quindi la perfetta opportunità, avendone i mezzi e la volontà, di realizzare un piano destabilizzante. Che rimase incompiuto solo perché qualcuno interpretò male la partitura.

Questo schema destabilizzante non era affatto eccessivamente secretivo. Non se ne discusse solo in una singola riunione al vertice alla Casa Bianca in cui Trump, il Chief of Staff Mark Meadow e l’Attorney General John Eastman  cercarono di convincere il VP Mike Pence ad essere dalla loro parte; ma è circolato ampiamente tra i membri repubblicani del Congresso e della Casa Bianca, completo di temi, scenari ed alternative. 

Un piano PowerPoint di 38 pagine che, a quanto pare, circolò nella Casa Bianca e nel Congresso molto prima del 6 gennaio. In esso si analizzavano i differenti modi in cui Pence avrebbe potuto mandare a monte la certificazione elettorale di Biden e come si sarebbero potuti superare gli ostacoli alla presa del potere da parte di Trump. Tutti modi anticostituzionali naturalmente, ma nell’America di Trump questo era un dettaglio irrilevante. Un altro aspetto del piano era quello giuridico, in cui Rudy Giuliani ed un team di avvocati avrebbero promosso tutta una serie di denunce che avrebbero giustificato, da un punto di vista legale, l’evolversi pratico del piano. Ed in questo modo l’elezione più limpida e maggiormente controllata della storia americana, sarebbe stata invertita a favore di chi l’aveva persa in maniera inconfutabile. Ma sempre nell’America di Trump non si richiedono evidenze quando è sufficiente che i media ed i repubblicani del Congresso pensano che una enorme menzogna rappresenta la realtà assoluta.  

The Impossible Insurrection of January 6 - WSJ

La terza parte del piano

E dopo vi era la terza parte del piano: quella “wild”, quella dello “stop the steal”, quella della “save America march”, quella del comizio di Trump. Quella organizzata da Steve Bannon, Roger Stone, Rudy Giuliani, Alex jones ed Ali Alexander ed installata nella “control room” del Willard Hotel. Quella che avrebbe dovuto creare la rabbia che avrebbe chiamato all’azione e che alla fine avrebbe dovuto convincere anche i più riluttanti. Quella che oscurò tutte le altre e provocò il fallimento del piano.

Bannon e Stone avevano già lavorato a “stop the steal” nel 2016 in previsione di una vittoria della Clinton, quindi nelle elezioni del 2018 in Florida ed infine nel 2020 in cui, mesi prima dello svolgimento delle elezioni, già Trump avvertiva che ci sarebbero stati massicci brogli. che gli avrebbero rubato la sua più che certa vittoria. Seguendo questa parte del piano, il “Trump team” si diede da fare ad intimidire gli uffici elettorali negli stati in cui Trump aveva perso, nel tentativo che qualcuno arrivasse ad invertire il risultato. Ma soprattutto si voleva creare l’impressione che in quegli stati la vittoria di Biden non fosse stata limpida e che fosse in corso una disputa legale. Ed i media, specie di destra, furono più che solleciti ad ampliare le varie controversie.

Prima del 6 gennaio Trump nei suoi comizi incitava a tenersi pronti, mentre gruppi “white suprematist” come Proud boys, Oathkeepers, insieme con i neo-fascisti di Bannon, si coordinavano usando piattaforme encrittiche come Telegram. Intanto si spargeva la voce che gruppi di “antifa” sarebbero stati presenti a Washington il 6 gennaio e Mark Meadow allertava la “National Guard” ad essere pronta a proteggere i manifestanti pro-Trump. Ma per capirne di più, analizziamo quello che veramente è successo il 6 gennaio 2021 a Washington DC.09:00 AM.  

La cronistoria di Capitol Hill

  • 9:00 AM– Comincia il comizio pro-Trump, con Mo Brooks che incita i presenti a “fight for America” e “kick ass” e quindi Giuliani che pretende dalla folla un “trial by combat”.
  • 12:00 PM– Inizia a parlare Trump. Promette di marciare con i manifestanti verso il Capitol, proclama “we have to fight much harder”, assicura che il risultato elettorale è un “egregious assault on our democracy” e declama “we have to show strength”.
  • 12:30 PM– Mentre Trump sta ancora parlando, circa 300 “Proud Boys” cercano  di forzare il blocco della polizia fuori dal Capitol ed una folla tra 10,000 e 15,000 manifestanti inizia a marciare compatta verso di esso. Prima che l’arringa di Trump finisca, le prime barriere di difesa saltano ed il capo della polizia del Capitol telefona alla Guardia Nazionale perche’ intervenga.
  • 1;00 PM– Mike Pence ed i Senatori si riuniscono con i Rappresentanti nella loro Camera per iniziare a certificare il risultato elettorale.
  • 1:10 PM– Trump finisce di parlare con l’incitamento a dare ai repubblicani “the pride and boldness that they need to take back our country”
  • 1:12 PM– Quando si arriva a certificare l’Arizona, il Rappresentante Paul Gosar ed il Senatore Ted Cruz obiettano ed intorno alla loro obiezione inizia un dibattito.
  • 1:17 PM– L’assalto al Capitol raggiunge le scalinate e cerca di penetrare nel tunnel sottostante alle Camere
  • 1:51 PM– Per un momento la folla degli assalitori si divide perché si sparge la voce che ad est del Capitol è stato allestito un palco per un nuovo comizio di Trump.
  • 2:11 PM– Gli insorgenti entrano nel Capitol, occupano le 2 Camere, violano gli uffici, rubano, distruggono e dissacrano spargendo feci sulle pareti. I Rappresentanti ed i Senatori sono costretti a nascondersi. Ed alla fine si conteranno 7 vittime. Il Congresso tornerà a riunirsi per la conta degli stati solo alle 8:06 PM e, superando l’obiezione sull’Arizona ed altri stati, il VP Mike Pence ratificherà la vittoria di Joe Biden. Ma le cose sarebbero potute andare diversamente. Molto diversamente. Consideriamo un altro possibile susseguirsi di avvenimenti.
  • 3:05 PM– Il Capitol non viene violato e la pressione dei manifestanti si mantiene all’esterno. La sessione congressuale è continuata e Pence, seguendo il memorandum del “Attorney” Eastman ed il “Power Point” del Piano, mette da parte la certificazione dell’Arizona e passa ad altri stati; questo porta ad altre obiezioni e Pence potrebbe o chiedere un aggiornamento per separati dibattiti o creare una categoria di stati in disputa. A questo punto, a causa della insistente pressione esterna contro le barriere della polizia, Trump chiede alla Guardia Nazionale di intervenire per proteggere i manifestanti pro-Trump ed il Congresso dalla violenza terrorista degli Antifa (che in realtà sono completamente assenti). Poi si reca sul palco allestito ad est del Capitol e da lì’ incita nuovamente i propri fans.

Quindi, sempre seguendo lo schema del Piano, o Pence finisce col certificare la sconfitta di Biden, o Trump annuncia la ripetizione delle elezioni sotto supervisione militare. In entrambi i casi, tutte le garanzie di una repubblica democratica sarebbero saltate ed un colpo di stato avrebbe sancito la permanenza di Trump al potere senza il passaggio superfluo di una vittoria elettorale. Fortunatamente non è andata così perché l’invasione del Capitol ha impedito il proseguimento della sessione e soprattutto perché Pence, dimostrando di essere legato più al dettato costituzionale che a Trump, ha tenuto a precisare, prima che iniziassero i lavori, che i suoi poteri erano limitati e, seguendo lo “Electoral Count Act”, ha dismesso ogni tipo di obiezione.

Naturalmente che le cose sarebbero potute andare diversamente da come sono andate, lo possiamo solo ipotizzare, ma le scene della violenza trasmessa su tutte le emittenti in diretta televisiva, il terrore degli stessi repubblicani per quanto stava succedendo, il caos fuori controllo, sono ormai realtà storica ed hanno giocato un ruolo fondamentale nel fallimento del colpo di stato. Il cui tentativo c’è stato ed ha provocato un enorme deterioramento della convivenza democratica, quando una parte politica, sentendosi esclusa dal potere da un sentimento di ripulsa popolare, ha scelto la via dell’intimidazione e della violenza come unico mezzo per  predominare.

E qui non si tratta dell’egocentrismo di un uomo, ma della deriva autoritaria di una intera classe politica. Una classe politica che non sembra aver colto questo fallimento come un incentivo a cercare strade più conformi al giuramento di servizio nei confronti della Costituzione, ma come una esercitazione per nuove avventure destabilizzanti dell’ordine democratico.    

Follotitta vive tra New York e Miami, è architetto e appassionato di storia, architettura e politica. Una visione a 360° sul clima made in USA vista dagli occhi di un professionista "italiano in trasferta".

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