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Susan David e l’agilità emotiva: migliorare nel cambiamento, prosperare nella vita e nel lavoro

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La psicologa Susan David è un esempio emblematico di come il modo in cui affrontiamo le nostre emozioni modella tutto ciò che conta: le nostre azioni, carriere, relazioni, salute e felicità. La sua sfida è quella di affrontare e, perché no, iniziare a cambiare una cultura che premia la positività sulla verità emotiva, discutendo le potenti strategie dell’agilità emotiva.

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Sawubona

In Sud Africa, dove è nata Susan , in lingua Zulu “sawubona” si usa per dire “ciao”. C’è un proposito bello e potente dietro questa parola – racconta Susan – perché “sawubona” letteralmente significa, “Ti vedo, e potendoti vedere, ti porto nell’essere.” Quando dietro una parola si nasconde un mondo! E forse un destino, visto che Susan David ha poi dedicato la sua vita a “vedere” gli altri e a “portarli nell’essere”, al tentativo di migliorare e dare valore a quell’essere.

Vedere dentro noi stessi, i nostri pensieri, le nostre emozioni e le nostre storie che ci aiutano a crescere in un mondo sempre più complesso e teso, è una missione per nulla semplice, ma probabilmente è l’unica missione che appartiene a tutti noi, fin dalla nascita. Perché il modo in cui affrontiamo il nostro mondo interiore guida tutto. Ogni aspetto di come amiamo, come viviamo, il nostro essere genitori e guide, figli e apprendisti, compagni. Interpretare in modo convenzionale le emozioni come buone o cattive, positive o negative, è un approccio rigido secondo Susan David. Il problema è che la rigidità di fronte alla complessità è deleteria.

Abbiamo bisogno di maggiori livelli di agilità emozionale per avere una vera elasticità e poter crescere. Nassim Nicholas Taleb scrive il suo ormai molto noto libro “Antifragile” sviluppando per tutto il testo questo concetto: il prosperare nel disordine, nella complessità. La sua conclusione è che questo è possibile grazie a piccoli stress, sollecitazioni che creano i giusti anticorpi a stimoli, per l’appunto, complessi.

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Crescita. Crescere è qualcosa che succede nonostante noi. E’ il tempo che passa. Anche rimanendo immobili cresciamo, almeno apparentemente. Ma domandiamoci in quale direzione, con quale qualità e… complessità! La chiamata per questo viaggio non inizia nelle rispettabili aule di una università, dentro a un ufficio, ma nella caotica e tenera vita quotidiana, suggerisce la nostra psicologa, cresciuta nei sobborghi bianchi durante l’apartheid in Sud Africa, un paese e una comunità impegnata nel non vedere. Alla negazione. Fu la negazione a rendere possibile una legislazione razziale per 50 anni mentre la gente si convinceva che non stava facendo nulla di sbagliato. Eppure, Susan ha conosciuto il potere distruttivo della negazione a livello personale in occasione della perdita del padre, racconta.

A casa di Susan si faceva fatica – suo padre non aveva potuto portare avanti la sua attività durante la sua malattia. E la madre, sola, provava a crescere tre bambini, con i creditori che bussavano continuamente alla porta. Una famiglia come ce ne sono tante, devastati finanziariamente ed emotivamente. Così Susan entrò velocemente in una spirale negativa di isolamento. Iniziò ad usare il cibo per anestetizzare il dolore. Abbuffandosi e purgandosi. Era sola, persa in una cultura che valorizza l’inarrestabile positività, in cui pensava che nessuno volesse sapere. Ma una persona non credette alla sua narrazione, alle sue risposte “va tutto bene”. Era la sua insegnante di inglese delle medie la quale un giorno le disse: “Scrivi come ti stai sentendo. Di’ la verità. Scrivi come se nessuno lo leggerà.” Un gesto semplice ma a dir poco una rivoluzione per lei.

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La rivoluzione personale

Fu questa rivoluzione iniziata in quel quaderno bianco 30 anni fa che plasmò il suo lavoro di una vita. La corrispondenza segreta e silenziosa con se stessa. Come una ginnasta, iniziò ad andare al di là della rigidità della negazione in quello che ora era arrivata a chiamare agilità emozionale. Siamo in salute finché una diagnosi o un evento scioccante ci fa piegare in ginocchio. La sola certezza è l’incertezza, eppure non attraversiamo questa fragilità con successo o in modo sostenibile. Antifragile, direbbe Taleb. L’Organizzazione Mondiale della Sanità dice che la depressione è ora la prima causa di disabilità a livello globale – superando il cancro, superando i problemi cardiaci. E nel momento di una maggiore complessità, di cambiamenti tecnologici, politici ed economici mai visti prima, stiamo vedendo come la tendenza delle persone è quella di bloccarsi sempre più in rigide risposte alle loro emozioni.

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Le emozioni che sono così importanti, fondamentali, perché letteralmente spingono la baracca. E-movere, muovere attraverso. Una spinta all’azione.

E torniamo al punto: crescere. é la qualità di questo agire che determina la crescita in uno o l’altro verso. Le decisioni che prendiamo in base alle emozioni che viviamo. Da un lato potremmo rimuginare ossessivamente le nostre sensazioni. Che restano incastrate dentro le nostre teste. Convinti di essere nel giusto. O vittime delle nostre informazioni. Dall’altro, potremmo rinchiudere le nostre emozioni, metterle da parte e ammettendo solo quelle emozioni ritenute legittime. In un sondaggio che Susan David ha condotto di recente su circa 70.000 persone, la psicologa ha scoperto che un terzo di noi – un terzo! – o giudica se stesso per avere le cosiddette “brutte emozioni,” come tristezza, rabbia o persino dolore. O prova con determinazione a mettere da parte queste sensazioni.

Lo facciamo non solo a noi stessi, ma anche alle persone che amiamo – dice Susan – ad esempio ai nostri bambini che potremmo, senza volerlo, farli vergognare per aver espresso emozioni. Emozioni “negative”. Ma la verità è che non esistono emozioni negative, rabbia, gioia, tristezza e rabbia sono tutte emozioni fondamentali perché ci danno contezza di come stiamo “traducendo” un’esperienza. Ci parlano di noi e ci portano un messaggio: puoi crescere. Nella direzione in cui ti impegni. In quella in cui metterai energia.

Pensa “positivo”

Essere positivo è diventata una nuova forma di correttezza morale. “Think positive!” Ma è una tirannia, dice la David. Una tirannia della positività! Ed è inefficace. Nella “positività” non c’è una risposta di crescita perché nel dover essere positivi si nasconde rigidità. Negare l’emozione per sostituirvi una forzosa positività in realtà ci porta ad evitare di cogliere il messaggio che porta con sé l’emozione.

La ricerca sulla soppressione emotiva mostra che quando le emozioni vengono accantonate o ignorate, si rafforzano. Gli psicologi la chiamano amplificazione. Come quella deliziosa torta al cioccolato nel frigorifero – più provi a ignorarla, maggiore è la sua presa su di te.

Il messaggio di Susan David non va frainteso. Come le altre, anche l’emozione della felicità va colta e vissuta. Tra l’altro è davvero piacevole farlo. Siamo felici quando risolviamo un problema, quando raggiungiamo un traguardo, quando ci sentiamo riconosciuti. Nello scambio autentico proviamo felicità, ed è certamente qualcosa da perseguire. Ma non l’unica cosa. Perché la via della felicità passa per tutte le emozioni, che sono il percorso per la famosa e preziosa crescita. “Voglio solo che questo sentimento vada via”, anestetizzare il dolore, può funzionare nel qui e ora, ma nel percorso, durante il viaggio, non può funzionare. Immagina un film dove l’eroe chiamato a intraprendere la sua avventura scegliesse di chiudersi in casa invece di andare alla ricerca del Drago. Il film non farebbe un grande successo al botteghino: racconterebbe di un tizio, o una tizia, seduti a casa su una poltrona, al buio. Per due ore abbondanti!

Oggi, nell’era della velocità

Ora, cosa significa tutto questo per noi, figli dell’era digitale? Nella sua ricerca, Susan ha trovato che le parole sono essenziali. Spesso usiamo etichette veloci e facili per descrivere i nostri sentimenti. “Sono stressato” è il più comune che si può sentire oggi. Ma c’è un mondo di differenza tra stress e delusione o stress e quel terrore di sapere “Ho scelto la carriera sbagliata.” Le nostre emozioni contengono luci lampeggianti verso le cose a cui teniamo. Tendiamo a non provare una forte emozione per cose che non significano niente nei nostri mondi. Se provate rabbia quando leggete le notizie, quella rabbia è un segnale, forse, che valorizzi giustizia e onestà — e un’opportunità per fare passi concreti per modellare la vostra vita verso quella direzione.

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Quando siamo aperti alle emozioni difficili, riusciamo a generare risposte che sono allineate a quei valori. Ma c’è un importante avvertimento. Le emozioni sono dati, non sono direttive. Possiamo accettare e analizzare le nostre emozioni per il loro valore senza aver bisogno di ascoltarle. Quindi, cosa vuol dire questo in pratica? Che per gestire le emozioni, oggi, nel marasma di input che arrivano, l’ultima cosa da fare, suggerisce Susan, è dire “Sono,” come in “Sono arrabbiato” o “Sono triste”. Quando dite “Sono” vi fa sentire come se foste voi l’emozione. Mentre voi siete voi, e l’emozione è una fonte di dati. Invece, provate a registrare il sentimento per quello che è: “Sto notando che mi sento triste” o “Sto notando che mi sento arrabbiato.” Queste sono abilità essenziali nell’ambiente di lavoro. Nella sua ricerca, quando la David guardava cosa aiuta le persone a mettere in funzione il meglio di loro, ha trovato un potente collaboratore chiave: la considerazione individualizzata. Quando alle persone è permesso provare la loro verità emozionale, coinvolgimento, creatività e innovazione fioriscono nell’organizzazione. Comunità che sono costruite sul mettere alla prova le nostre emozioni. Considerare un ufficio come una “palestra del sé” ci permette di studiare e crescere continuamente. Proviamo a vederla come un’opportunità unica e domandiamoci: “Cosa mi sta dicendo la mia emozione?” “Quale azione mi porterà verso i miei valori?” “Quale mi allontanerà dai miei valori?”

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L’agilità emotiva è l’abilità di stare con le proprie emozioni con curiosità, compassione e specialmente il coraggio di fare passi connessi al valore. E’ nel vedere noi stessi migliorare che nasce la più grande motivazione. Giorno dopo giorno. Lo dicevo proprio poche ore fa a un’amica: “la vita è un percorso di miglioramento continuo”. L’unica strada sostenibile per andare avanti in un mondo fragile e meraviglioso, dice Susan. E conclude: Sawubona.

Fonte: Tedx

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