di Paul K. Fasciano –
L’espressione scritta e quella orale, due abilità che un manager nell’era post-Covid deve possedere per essere pienamente efficace Quando comunica il Manager deve chiedersi cosa della sua comunicazione stia effettivamente arrivando? La sua intenzione viene rispecchiata nell’azione del gruppo?
Performance al 110%
Le performance di ogni team possono essere migliorate se, come manager, siamo disposti a migliorare le nostre abilità comunicative. Per farlo spesso è fondamentale una formazione adeguata. Il fai da te, “tanto che ci vuole” quasi mai porta a dei miglioramenti sostanziali. Come Mancini, con l’Italia degli Europei 2021, un Manager deve saper portare la propria squadra ad esprimere il proprio potenziale, trasformandolo in potenza. Una scienza descritta nel libro di prossima uscita “La scienza del potenziale”, per ottenere da tutti i giocatori in campo oltre il 100% di ciò che possono dare. Come è possibile? Si tratta di “interferenze costruttive” che funzionano solo quando tutti i giocatori in gioco seguono la stessa strada, hanno le stesse intenzioni e le manifestano con coerenza mettendosi a disposizione degli altri. Ma andiamo per gradi.
Nelle grandi organizzazioni, fare affidamento solo sulla discussione è estremamente rischioso perché ogni fase di una comunicazione degrada il messaggio. L’efficacia, infatti, è uguale al potenziale (contenuto del messaggio) meno le interferenze.
Questa è la legge della Performance. E’ una formula semplice, ma dai risvolti molto efficaci. L’ha ideata W. Timothy Gallwey, considerato il padre del coaching moderno che con il suo libro “Il gioco interiore del tennis” (The Inner Game of Tennis) ha gettato le basi del coaching. La formula è, allora, p = P – i ovvero, la performance è uguale al Potenziale meno le interferenze. La questione si complica quando prendiamo in considerazione un aspetto fondamentale delle interferenze. Queste sono frequenze e, come tali, possono essere di due tipi: interferenze distruttive o costruttive. Dipende dalla fase delle onde di frequenza e, come spiego ne “La scienza del Potenziale”, quando le interferenze sono costruttive, la performance può addirittura superare il potenziale. Andare oltre, per toccare quello che comunemente viene definito “stato di flow”.
Interferenze
Le interferenze sono tutti quegli aspetti che possono intervenire a “spezzare” il potenziale, inteso come l’espressione di un contenuto originale.
Tale contenuto è il messaggio in una comunicazione che viene comunicato secondo la volontà del suo mittente. Ha un tempo specifico di passaggio, in cui agenti esterni possono distorcerlo (pensa a una chiacchierata davanti a un cantiere rumoroso) e arriva a un ricevente che lo filtra in base alle proprie idee, convinzioni, filtri mentali di sorta. Quando un messaggio passa attraverso questa gerarchia di pregiudizi, di ansie, di interessi personali di ciascun destinatario, può diventare addirittura irriconoscibile per il suo autore. Nel tragitto tra mittente e ricevente, il messaggio si distorce e succede quando le interferenze tra i due sono di tipo distruttivo.
Per non parlare della necessaria capacità di parlare davanti a gruppi di varia grandezza, da 3 a 3.000, la ben nota arte del public speaking. È curioso che ci siano ad oggi tantissimi manager che parlano frequentemente a un pubblico di colleghi, di dipendenti, ai meeting aziendali, a conferenze e convegni, senza aver acquisito un minimo di formazione in questo senso. Ne discutevo proprio recentemente con un bravo assicuratore, il quale mi ha rivelato come i manager nella sua azienda abbiano interpretato il momento della riunione generale come un’occasione per raccontare la forza dell’azienda, le sue superbe caratteristiche con parole come: “Va tutto bene. Siamo forti. Ora sta a voi vendere i nostri prodotti”. Mentre per il cauto assicuratore del caso, le cose sul campo appaiono ben diverse e queste occasioni dovrebbero servire per una reale formazione e una comunicazione basata su maggiori elementi di sincerità e vera strategia. Insomma, dire solamente cose belle, lodarsi per nascondere la polvere sotto il tappeto, è già di per sé una tara comunicativa, a cui si aggiunge la mancanza di carisma, empatia, vero legame con l’uditorio, e la frittata è fatta. Meno motivazione, meno preparazione reale, che poi si traducono inesorabilmente in meno contratti venduti.
E’ un po’ come ritrovarsi di fronte un plotone di soldati e raccontargli quanto il loro Paese sia forte, quanto quell’esercito sia imbattibile e quanto sia compito di ognuno dei soldati trasformare in vittorie tutte le prossime battaglie, mettendogli poi in mano un fucile del 15-18.
Già perché anche i prodotti che vendono nella succitata assicurazione sono un poco vetusti, nel senso che spesso, per non dire sempre, sono gli stessi prodotti che vengono venduti on-line, ma a un costo maggiore. Miopia nel non comprendere quanto sia l’agente in sé e la sua capacità di fornire un prodotto “su misura” a fare la differenza. Altrimenti svanisce di fatto il vantaggio di rivolgersi a una persona fisica, e aumenta quello del rivolgersi a una ben più economica e affidabile macchina. Insomma, soldati senza una formazione adeguata, con armi fragili, messi a combattere contro nemici armati di moderna tecnologia. E continuare a raccontare, esortando a battere le mani, che va tutto bene!
Comunicare coerenza
Incapaci di comunicare quindi, senza avvedersi del fatto che la comunicazione è il più antico strumento di leadership. Parte di questa abilità è la capacità di impegnarsi nel dialogo, nel renderlo vivo, evocativo, risonante, come direbbe Nancy Duarte, tra le massime esperte mondiali del settore, presentando idee e programmi capaci di convincere. La parola stessa convincere, vincere insieme, dà conto del risultato che una comunicazione del genere deve ottenere. Risparmiare tempo, denaro, sviluppare nuove opportunità e rendere ben chiaro quale sia il vantaggio per tutti, partendo proprio dalle persone che in quell’uditorio si stanno ponendo, nessuno escluso, la famosa domanda “what’s in it for me?“ Che cosa c’è qui per me? Non perché siano avidi egoisti, ma semplicemente perché il nostro cervello è stato programmato per milioni di anni a ricercare risparmio energetico e tutti i vantaggi e gli strumenti possibili per ottenerlo. Per questo è così importante chiarire le questioni, rendere disponibili soluzioni, condividere strategie, sviluppare pratiche di team formative e coerenti. Coinvolgere, parlare “chiaro” vuol dire anche fare piccoli progressi far arrivare opportunamente idee e motivazione. Nei livelli inferiori al top management ciò potrebbe amplificare in modo evidente le performance di un’organizzazione.
Spesso le aziende sembrano presumere che i manager possano acquisire queste competenze rapidamente e facilmente, da soli. Forse poteva funzionare prima, oggi no. In questa epoca di veloci cambiamenti, di cambi di passo, di maggiore consapevolezza e sensibilità verso i grandi tempi della sostenibilità aziendale. Oggi che i dipendenti hanno i mezzi e la volontà per acquisire informazioni per la loro stessa crescita, trovarsi in un contesto fintamente addobbato, che non consideri ogni individualità come una risorsa preziosa,, può fargli perdere gran parte della loro motivazione e del senso di appartenenza.
Alcuni manager hanno doti naturali nella comunicazione, questo è vero, ma potrebbe non bastare. L’idea che un manager dall’ottimo curriculum, venga assunto assieme al suo stile e alle sue performance comunicative, come fossero un pacchetto unico, è una trappola in cui cadono dirigenti e HR di ogni livello.
In ogni comunicazione, ogni concetto ricerca la sua adeguata espressione. Messaggio e livello espressivo interagiscono e si amplificano a vicenda creando quelle famose interferenze costruttive capaci di portare le performance al top. Se un manager non si sottopone alla formazione necessaria per esprimere con disciplina la sua visione, in una prosa chiara e allo stesso tempo carismatica e persuasiva, la sua comunicazione difficilmente porterà i risultati attesi. Si sottovaluta sempre quanto le performance aziendali partano in larga misura da come vision, mission, obiettivi, strategie e prodotti vengono comunicate a dipendenti e colleghi. L’espressione sfocata nasconde un pensiero vago, che può essere disastroso in termini di risultati e responsabilità se combinato con una mancanza di autorità dell’oratore.
Tutto e parti del tutto
Nel suo Holism and Evolution, Jan Christiaan Smuts, statista e filosofo sudafricano, ha scritto: “Un tutto, che è più della somma delle sue parti, ha qualcosa di interno, una certa interiorità di struttura e funzione“. Questo è ovvio in cose come la comunicazione dove singole unità di parole, che sono tra loro pigmenti e toni, vengono combinate per produrre uno schema che non esiste nelle unità stesse. Nei termini di Smuts, quel modello è qualcosa di più ed è più vitale di qualsiasi assemblaggio di unità, per quanto grande. Proprio come un bambino curioso smonta un orologio nei suoi ingranaggi, fusi e molle, l’analisi logica nella comunicazione rompe gli interi in pezzi sempre più piccoli per esaminarli isolatamente.
Ma affinché ci sia senso nella complessità che queste parti insieme compongono, deve esserci una relazione significativa tra le parti, una sintesi.
Dunque qualcuno deve progettare le parti e metterle in relazione e deve farlo colui che ha una visione di ciò che potrebbero costruire assieme le cose separate trasformandole in qualcosa di nuovo, di vitale.
Ogni bravo oratore, pertanto, cerca di produrre modelli coesivi selezionando, o rifiutando, e mettendo in relazione i vari componenti a sua disposizione per esprimere la sua visione. Senza il riconoscimento del ruolo centrale dell’immaginazione in questo processo, ovvero della capacità di immaginare l’effetto sul pubblico per mezzo dell’empatia, sarà difficile ottenere in cambio da chi ascolta, poi, ottime performance individuali e di gruppo.
In questo sta l’arte della comunicazione, e nella mancanza di formazione in tal senso, l’argomento del management come disciplina diventa mera pedagogia scientifica elementare: tutta analisi e nessuna sintesi.