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Da Michelangelo Antonioni a Novak Djokovich, il tennis raccontato attraverso la visione e le immagini di Filippo Trojano

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“Il tennis è una metafora di ciò che di bello e di brutto si incontra nella vita.” Così amava dire Michelangelo Antonioni, grandissimo appassionato di tennis, oltre che cineasta, e attivo frequentatore del Tennis Club Marfisa di Ferrara, dove amava sfidare in lunghi match l’amico Giorgio Bassani. “Blow Up” è il suo film più rappresentativo, dove la metafora della vita e quella del tennis si incontrano nella storia del fotografo Thomas, il quale oltre ad avere il sospetto di aver assistito ad un omicidio, in una della scene più alte e oniriche del film assiste anche ad una partita di tennis giocata tra due mimi, senza racchette e senza pallina. Questa è la magia di Antonioni, pura sensibilità e immaginazione.

Smashing Rackets

Sfogliando le pagine di “Smashing Rackets”, il volume scritto a quattro mani da Federico Ferrero e Filippo Trojano (con una bellissima introduzione di Marco Lodoli, e il pregevole progetto grafico di Francesca Gorini, edito dalla Hoepli) sembra di addentrarsi nel cinema di Michelangelo Antonioni.

Niente volti, né racchette (integre) né palline, pregevolmente sostituiti da incredibili storie e suggestive immagini di racchette rotte. Questa è la potenza di “Smashing Rackets”, un volume bellissimo e appassionante che racconta, soprattutto per immagini, il lato “buio” del tennis, quello della rabbia e della frustrazione che accompagnano uno sport universalmente elegante, composto, praticato da gentlemen e ladies.

Da John McEnroe a Matteo Berrettini, da Serena Williams a Roberta Vinci, da Nicola Pietrangeli a Novak Djokovic, sono in molti i tennisti che raccontano almeno un aneddoto, in questo libro, sull’arte di rompere la racchetta (il “racket smash” per l’appunto). Accanto a loro, di contro, ci sono i “veneratori” di racchette, quelli che non si sognerebbero mai di scagliarsi contro l’oggetto del loro amore: e così i miti Rafa Nadal e Pete Sampras.

Il “racket smash”, gesto unico e irripetibile che non esiste in nessun altro sport al mondo, è il solo che avvicina, e forse rende uguali, il tennista principiante e il numero uno del mondo.

Filippo Trojano, fotografo romano, attore e autore in diversi progetti cinematografici, ha fotografato in studio decine di racchette distrutte, immortalandole come fossero dei ritratti, con l’intento di far trovare dentro ad ogni spettatore l’intimo significato di quel gesto scomposto, di rottura. Il giornalista sportivo Federico Ferrero ha arricchito il tutto con aneddoti e nessi storici. Le parole dei più grandi tennisti del mondo e le fotografie d’archivio (a partire dagli anni Trenta) accompagnano le vicissitudini dell’unica, vera protagonista di questo dirompente volume: la racchetta.

In occasione dell’imminente presentazione di “Smashing Rackets” a Milano questo prossimo 26 settembre nella sede della Hoepli, abbiamo avuto il piacere di intervistare Filippo Trojano, già reduce di due coinvolgenti presentazioni al Salone del Libro di Torino e a La Feltrinelli di Roma. A Milano, il fotografo e autore romano sarà affiancato dal collega Federico Ferrero e da Lorenzo Cazzaniga.


L’intervista con Filippo Trojano

Filippo, innanzitutto raccontaci come è nata questa passione per il tennis, e da dove è scaturito questo progetto di raccontare quasi un secolo di racchette rotte?

In realtà la mia passione per il tennis nasce da lontano. Da ragazzo facevo agonistica ma poi ho lasciato questo sport per vent’anni. Ho ripreso a giocare sei anni fa grazie ad un amico che mi ha regalato per i quarant’anni una nuova racchetta; un po’ casualmente quindi ho ripreso con lui, e sempre del tutto fortuitamente sono capitato un giorno in un circolo di viale marconi (il Tennis Sport Libero) dove faccio ancora oggi parte di una squadra e che ha 7 campi da tennis in terra. Insomma, questo circolo ha conservato cinquant’anni di racchette rotte, che stanno attaccate alle reti perimetrali: ne hanno circa cinquecento, da quelle di legno degli anni Settanta fino alle più recenti. Un unicum in Italia! Le persone quando distruggono una racchetta la portano lì. Io interpreto queste racchette come delle fotografie, perché è come se fossero degli istanti congelati. Un giorno parlai con un maestro che mi spiegò come si erano rotte: alcune colpendo un paletto, altre semplicemente per il contraccolpo con il terreno. Insomma, è stato come ricostruire un delitto!

Ho deciso di portarle in studio per realizzarne dei ritratti, e dopo le ho fotografate in macro. La maggior parte delle racchette che ho fotografato sono anonime; sono poche, invece, quelle di tennisti professionisti. E mi piace questa cosa, perché il gesto di rompere la racchetta è unico. Non esiste in nessun altro sport al mondo il gesto di distruggere l’oggetto con cui giochi.

Filippo Trojano ritratto da Ludovica Sitajolo

E da cosa dipende questo particolare stato di frustrazione del tennista secondo te?

E’ una situazione mentale di particolare solitudine quella che vive un tennista, e il racket smash è un gesto che accomuna tutti, senza distinzione di età, classe sociale o preparazione: dall’amatore all’agonista, dal bambino al numero uno del mondo. Il gesto è lo stesso, ma con infinite variabili.

Parliamo della genesi di questo affascinante libro, “Smashing Rackets”…

Un mio amico mi ha messo in contatto con Federico Ferrero, che è un bravissimo commentatore di Eurosport; si è appassionato al progetto, e tramite lui siamo giunti alla casa editrice Hoepli che aveva pubblicato già un suo volume.

Abbiamo così iniziato a lavorare al progetto dividendoci le attività e strutturando il libro in interviste e immagini: le interviste le abbiamo realizzate sia io e Federico, mentre la parte testuale di ricostruzione storica è interamente sua, e io mi sono occupato delle immagini. Vorrei citare anche Francesca Gorini, che ha stupendamente curato la parte grafica.

Risalendo fino agli anni Trenta abbiamo cercato di ricostruire l’epoca in cui il gesto di rompere la racchetta ha avuto inizio. Era un gesto non ammesso, e non c’è una vera documentazione alla quale attingere.

Un’altra immagine di Filippo Trojano

Filippo, tu hai mai rotto una racchetta?

Una sola volta. Avevo 12 anni, ma l’ho rotta per sbaglio lanciandola contro una rete e involontariamente ha preso il palo di una porta di calcetto (era un campo in erba sintetica). Mi sono sentito molto in colpa. Era una Prince, e l’avevo comprata insieme ai miei genitori. Di questo aneddoto ne parlavo con Djokovich agli ultimi Internazionali BNL d’Italia, dove ho avuto il piacere di conoscerlo e scambiarci due parole. Dopo quel giorno famoso, non ho mai più lanciato una racchetta.

E’ diventato però un gesto che ti ha affascinato, in un certo qual modo….

Sì, mi affascina molto. Negli anni ho visto tanti amici farlo, anche contro di me, e anche tanti professionisti. Il tennis ha preso di nuovo molto piede negli ultimi anni a partire dalla pandemia, perché era uno dei pochi sport che si poteva praticare all’aperto con il distanziamento. Con Federico (Ferrero, ndr.) parliamo spesso di questa cosa, ovvero che il tennis è una boxe senza contatto, uno sport molto aggressivo. Io lo vedo come una via di mezzo tra la boxe e gli scacchi.

Filippo Trojano e Lorenzo Sonego

Qual è stato l’aspetto che ti ha motivato di più nel raccontare queste storie dirompenti del tennis, questi aneddoti, attraverso le immagini?

Sono molto legato al tennis perché ha accompagnato la mia formazione di adolescente, ed è una passione che è cresciuta parallelamente a quella per la fotografia e il cinema.

Da fotografo ho visto questo lavoro come una nuova opportunità per raccontare gli aspetti più poetici e artistici del mio vissuto, e della vita in genere…

E’ stato un modo di fotografare le nostre cicatrici, le nostre crisi, le nostre rughe, che possono aprire le porte ad un qualcosa di nuovo che può mettere nuovamente in crisi. Ma è un’occasione per trasformarsi, per evolvere. E’ questo il motivo per cui ho scelto la frase di Rilke in apertura al volume “Lascia che tutto ti accada: bellezza e terrore. Si deve sempre andare: nessun sentire è mai troppo lontano”. Il gesto di rompere una racchetta è negativo da un punto di vista oggettivo, ma può avere dei risvolti interessanti a livello umano. Il racconto delle storie è stato molto appassionante, come l’invenzione di un racconto.

C’è una citazione del libro alla quale sei più affezionato, o che ti ha maggiormente affascinato?

Sicuramente quella di Nicola Pietrangeli su Michele Pirro. Quella rabbia cieca, il fatto del dare fuoco a tutto, dal punto di vista visivo è interessantissimo. Mi ha intrigato molto.

E tra i personaggi che hai intervistato, chi ti ha colpito particolarmente?

Lorenzo Musetti. Il giorno successivo al nostro incontro ha avuto un attacco di panico sul campo. Mi aveva raccontato di aver rotto una racchetta a quindici-sedici anni mentre stava per avere un attacco di panico e lo ha superato proprio rompendo la racchetta. Mi piace leggere questo fatto come una crisi destabilizzante, non necessariamente un momento negativo perché l’attacco di panico può essere legato anche a qualcosa di positivo che si sta muovendo dentro di te, ma non riesci a reggerlo… può accadere anche con un innamoramento, o per il distacco dai genitori, o semplicemente per una pressione agonistica esagerata.

In “Smashing Rackets” non compaiono mai i volti dei tennisti che compiono quel gesto. Perché?

Perché non volevo la riconoscibilità del vip. Pur avendo fatto dei ritratti di Jannik Sinner, ad esempio, non volevo concentrarmi sul fatto che quella racchetta rotta fosse proprio la sua, ma era solo il pretesto per raccontare “altro”, e suscitare la sensibilità dell’osservatore. Della fotografia che ho fatto di Sinner, ad esempio, vediamo solo la sua ombra a terra, e anche degli altri tennisti contemporanei parlano le immagini delle loro racchette, non i loro volti.

Gli unici professionisti di cui abbiamo il volto sono i tennisti entrati nella storia, non più professionisti allo stato attuale. E le loro immagini sono in bianco e nero.

Cosa rappresenta per te questo progetto fotografico, nel profondo?

Di fondo, questo progetto è come un dialogo tra me e il mio adorato Antonioni.

Oltre ad essere un tennista professionista, Antonioni ha prodotto i suoi primi documentari vendendo i trofei di tennis. Il suo primo lungometraggio “Cronaca di un amore” ha tra le location il Tennis Club Marfisa dove Antonioni giocava, e poi “Blow Up” dove ha ideato la partita a tennis dei mimi con la pallina invisibile. Ecco, la copertina di “Smashing Rackets” è un omaggio a lui perché il buco, il foro, che c’è nella copertina del libro richiama la circolarità della pallina. In tutto il libro è raffigurata solo una pallina da tennis accanto al mio testo che è “Fratture”, dopodiché per tutto il libro non vedrai più palline. Ricompaiono solo alla fine. Questo perché dove c’è una frattura anche la pallina è sparita. Hai perso contro il tuo avversario. Hai perso la pallina. Quindi tutto questo dialogo è un personale omaggio a Michelangelo Antonioni.

Stai lavorando ad altri progetti?

Ho lavorato con il regista di teatro Armando Punzo, insignito del Leone d’Oro alla Carriera proprio all’ultima Biennale Teatro di Venezia. A fine luglio, a Volterra, abbiamo presentato in anteprima “I’m Looking for the Face I Had Before the World Was Made”, un volume sulla Compagnia della Fortezza che sarà disponibile alla vendita da ottobre. Si tratta di un libro d’artista a tiratura limitata che ho realizzato insieme ad una amica designer e curatrice, Chiara Capidici.

Ringraziando Filippo Trojano per questa appassionante chiacchierata, vi aspettiamo numerosi alla nuova presentazione di “Smashing Rackets” a Milano il 26 settembre nella sede della Hoepli, certi che i suoi autori sapranno infiammare gli animi dei presenti anche in questa occasione tra domande e aneddoti da raccontare.

Giornalista del Quotidiano La Voce e Direttrice de Il Circolo del Golf, è collaboratrice di InsideMagazine dal 2020

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Laureata in Lettere con la specializzazione in Editoria e Giornalismo presso l'Università degli Studi Roma Tre, e diplomata anche presso la Scuola di Scrittura Omero, Virginia Rifilato è una giornalista di grande talento e esperienza, con una solida carriera nel campo del giornalismo e delle collaborazioni con importanti media nazionali come La Repubblica, come editor nell'industria cinematografica e televisiva per importanti canali satellitari e terrestri come Sky e Tim Vision, e collaboratrice di alcune emittenti radiofoniche di spicco, tra cui Radio 3 e Dimensione Suono Roma.

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All'interno del magazine InsideMagazine, Virginia ha il compito di curare le interviste di punta, offrendo ai lettori un'esperienza avvincente e coinvolgente. La sua passione per la scrittura e la sua capacità di raccontare storie affascinanti, oltre alla sua abilità nel creare domande incisive e nel catturare l'essenza delle personalità intervistate, la rende una risorsa di grande valore per la redazione.

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