La resilienza del talento: cosa insegna il ritorno di Renato Paratore

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Alcune vittorie dicono chi sei, altre raccontano chi sei diventato. E poi ce ne sono alcune, come quelle appena conquistate da Renato Paratore negli Emirati Arabi, che fanno entrambe le cose insieme. Due tornei, due successi in sette giorni: uno sportivo esperto potrebbe archiviarli come “forma ritrovata”, ma sarebbe una semplificazione. Quello che è accaduto a Paratore è qualcosa di più profondo, che riguarda la disciplina mentale, il modo in cui si attraversa la fatica, e la capacità di costruire il proprio ritorno al centro. È una lezione per chiunque affronti il proprio personale campo da gioco.


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Nel golf – come nella vita – la differenza la fa chi riesce a colpire con precisione anche quando il vento cambia. E negli ultimi anni, il vento per Renato Paratore ha soffiato da tutte le direzioni. Dopo le vittorie al Nordea Masters nel 2017 e al British Masters nel 2020, Paratore era stato considerato il futuro del golf italiano. Aveva 24 anni, uno swing elegante, sangue freddo e una naturalezza in campo che faceva invidia ai più navigati. Poi, qualcosa si è inclinato.

Non è stato un crollo spettacolare, di quelli che i media amano raccontare. È stato piuttosto uno scivolamento silenzioso: tornei chiusi lontano dai vertici, qualche taglio mancato, una certa nebbia sparsa che impediva di vedere gli obiettivi con chiarezza. E soprattutto – come raccontano molti atleti – quella sensazione fastidiosa di sapere di avere dentro qualcosa che non riesce a uscire. Di essere ancora “quel talento”, ma solo a intermittenza. In molti avrebbero fatto un passo indietro, si sarebbero adattati, magari avrebbero cercato altre strade nel circuito. Paratore no.

Il 13 aprile 2025, al termine dell’UAE Challenge, conquista una vittoria netta con un incredibile -22. Sette giorni dopo, ad Al Ain, trionfa anche all’Abu Dhabi Challenge con -17. È l’unico giocatore italiano a farlo in questa stagione. Due coppe, due discorsi di premiazione, e un messaggio non dichiarato ma fortissimo: “sono tornato, ma non sono lo stesso”.

E infatti, non lo è. “Negli Emirati mi sento a casa”, ha detto in un’intervista rilasciata in esclusiva a circolodelgolf.it, e non è solo questione di clima. È l’abitudine a un certo tipo di sfida, un rapporto con sé stesso che è cambiato. Il putt è diventato incisivo, il ritmo mentale costante, la concentrazione impermeabile. Non è solo tecnica, è trasformazione identitaria. È un Paratore che ha imparato a riformulare i propri errori, a starci dentro senza farsene definire.

SONO STATE DUE SETTIMANE INCREDIBILI, nelle quali SONO RIUSCITO A MANTENERE UN RITMO DI GIOCO E una CONCENTRAZIONE MOLTO COSTANTI

Se il golf è lo specchio di ciò che siamo – fragile, preciso, imprevedibile – allora Paratore oggi è la rappresentazione di un potenziale che si è riorganizzato. Ha cambiato posizione, e così facendo ha costretto il resto – aspettative, risultati, ambiente – a ricalibrarsi. La resilienza, in questo caso, non è uno slogan da palestra. È un metodo. Un modo di restare in piedi anche quando la narrazione cambia. E forse è proprio da qui che possiamo iniziare a trarre qualche lezione utile. Perché non importa quale sia il tuo campo: aziendale, creativo, sportivo. Ci sono momenti in cui serve qualcosa di più del talento. Serve capire come ricominciare da se stessi.

Mentalità, disciplina e gestione dell’incertezza

Quando si parla di “mentalità vincente”, il rischio è di scivolare in una formula motivazionale troppo facile. Eppure, a guardare da vicino ciò che accade nella testa di chi vince davvero – soprattutto dopo essere caduto – si scopre che la mentalità non è un atteggiamento: è un asset strutturato. È una forma di conoscenza, non solo di sé, ma anche del modo in cui la mente interagisce col contesto.

Renato Paratore, in queste due settimane di fuoco negli Emirati, ha dimostrato una cosa chiara: la mente che regge il successo è la stessa che ha imparato a reggere l’insuccesso. Nulla arriva per caso, e nessuna performance nasce da un colpo di fortuna. È il risultato di un campo di coerenza che si mantiene nel tempo, anche quando non sembra portare risultati immediati.

Lo vediamo nei suoi gesti, nella calma con cui ha chiuso i giri decisivi, nella padronanza con cui ha affrontato le buche finali sapendo di avere avversari a un colpo di distanza. Non ha reagito: ha risposto. Ha seguito un ritmo interiore che non è quello del punteggio, ma quello del proprio stato mentale. Nel golf, come nella vita, tutto questo si traduce in scelte millimetriche. Fare un colpo quando serve, attendere quando è necessario, correggere quando si può. Significa gestire l’adrenalina e la paura come due informazioni da leggere, non da subire. Significa sapere che anche il silenzio è una parte del processo.

Paratore lo ha dimostrato. Ma attenzione: non è un caso isolato. È un modello osservabile. In coaching parliamo spesso di “resilienza mentale”, ma la verità è che ciò che rende un professionista solido è la capacità di generare coerenza tra visione, azione e identità. È quello che definisco l’“effetto-causa”: non è il risultato a determinare chi sei, è chi scegli di essere a generare i risultati.

E allora ogni volta che scegli la sfida, stai dicendo al tuo cervello: sto cambiando. Ogni volta che resti nella zona di comfort, stai dicendo: preferisco avere ragione piuttosto che evolvermi. E allora, quale campo stai generando? Quali circostanze stai creando? Quale identità stai nutrendo? In quale direzione si muove il tuo potenziale? Paratore ha scelto il cambiamento come metodo.

Certo, nel golf tutto è misurabile: i colpi, i giri, il punteggio. Ma ciò che non si vede – il dialogo interno, il controllo emozionale, la tenuta sotto pressione – è ciò che separa chi resta da chi ritorna. E se oggi vogliamo imparare qualcosa da Renato Paratore, è proprio questo: non c’è tecnica che tenga, senza mentalità. E non c’è mentalità vincente senza un’identità consapevole.

Cosa possiamo imparare da un ritorno vincente

C’è qualcosa di profondamente umano nel vedere qualcuno che cade… e poi si rialza. È il tipo di storia che ci piace raccontare, ma soprattutto è il tipo di storia che ci serve ascoltare. Perché ci ricorda che non esistono identità fisse, e che il talento – da solo – non basta, se non è accompagnato dalla volontà di attraversare il deserto.

Nel caso di Renato Paratore, il ritorno alla vittoria dopo stagioni difficili ci consegna un modello di rinascita professionale. E non parliamo solo di golf. Parliamo di ogni professionista, manager, imprenditore, atleta o artista che a un certo punto ha avuto la sensazione di essersi perso. O peggio, di non poter più tornare. Cosa ha fatto la differenza? Tre elementi chiave, che possiamo considerare un protocollo di ritorno al potenziale:

1. Riconnettersi con la propria identità

Paratore ha ritrovato se stesso nel luogo dove tutto aveva senso: gli Emirati, che lui stesso definisce “una seconda casa”. Non si tratta solo di familiarità con il campo: è riconnessione identitaria. Quando ci troviamo in ambienti in cui risuona la nostra migliore versione, il nostro focus si attiva, si riallinea, e genera condizioni favorevoli.

2. Riattivare la coerenza tra mente e azione

A vincere non è stato solo il Paratore tecnico, ma quello capace di mantenere ritmo e concentrazione per due settimane di fila. Una coerenza rara, eppure replicabile, che non nasce dalla motivazione, ma da una gestione consapevole dello stato mentale.

3. Accettare che la rinascita è una scelta, non un evento

La cosa più potente che ci insegna questa storia non è la vittoria, ma il fatto che è stata costruita. Con pazienza, con disciplina, con scelte piccole ma strategiche. La rinascita non arriva: si genera. E parte da una decisione interiore.


Alla fine, il vero trionfo non è salire sul podio, ma sapere che ci sei salito con consapevolezza. Che ogni colpo, ogni ostacolo, ogni attesa, ha costruito qualcosa. Che il risultato non ti definisce, ma rivela ciò che sei diventato.

E forse, questo è il messaggio più importante per chi oggi si sente in una fase piatta, di stallo, o di declino. Il potenziale non sparisce: resta latente, pronto a risvegliarsi quando torni ad allinearti con ciò che sei davvero. Renato Paratore insegna.

Paul Fasciano, Direttore di InsideMagazine e del Gruppo Editoriale Inside, è un mental coach prestato al mondo della comunicazione digitale. Con un background accademico in sociologia e una formazione in PNL, mindfulness e neuroscienze, ha dedicato oltre tre decenni allo studio delle dinamiche sociali odierne. E' autore di varie pubblicazioni incentrate sulla crescita personale nel complesso contesto contemporaneo. La sua missione è fornire ai professionisti le informazioni più aggiornate e rilevanti, migliorando la loro comunicazione e potenziando il loro mindset con strategie efficaci e mirate.

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