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Miracolo in trincea: Michele Gazich e la musica che salva

L’intervista al compositore e scrittore di canzoni

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Mi piace descrivere Michele Gazich come un ponte tra culture, popoli, generi musicali, ma soprattutto tra le nostre emozioni: i suoi concerti sono pura poesia, un varco ultraterreno tra le due anime che ci abitano, quella fatta di ombra e l’altra di luce.

E sono proprio le intense emozioni che si provano partecipando alle sue esibizioni dal vivo a rendere evidente che “quel” musicista sul palco è un uomo che ha vissuto una vita incredibile, la quale trasuda da ogni singola nota di violino o parola cantata: una musica da camera, che risuona nell’eco del pubblico che canticchia i ritornelli delle sue canzoni come dei mantra, carichi di tutta la spiritualità dei luoghi che lo ospitano e dei mondi che raccontano.

Violinista, compositore e “scrittore di canzoni” (come lui stesso ama definirsi, non “cantautore”, ndr.), Michele Gazich ha avuto importanti collaborazioni con songwriter statunitensi (ricordiamo l’album “Rifles & Rosary Beads”, prodotto con Mary Gauthier, che ha ricevuto una nomination ai Grammy Awards 2019 come miglior album folk), nonché di uno straordinario percorso artistico che continua fecondo in Italia (dove collabora anche con Moni Ovadia) e che lo ha condotto in Giappone, India e Nord Africa.

È notizia di questi giorni l’imminente uscita del nuovo videoclip “solo i miracoli hanno un senso stanotte in questa trincea”, brano tratto dall’omonimo album di inediti uscito il 21 febbraio (realizzato in duo con Giovanna Famulari). Un videoclip molto atteso, con la regia di Dario Angelucci, di grande ispirazione anche cinematografica, di cui Gazich ha anticipato in esclusiva qualche dettaglio durante la nostra intervista.

L’album parla da sé: quindici anni di lavorazione, nove canzoni e solo due musicisti in studio, l’autore e la violoncellista e cantante Giovanna Famulari, per un progetto inedito ed innovativo che vede la tradizione del classicismo viennese e del primo romanticismo tedesco dialogare, in un accostamento ardito, irrituale, ma incredibilmente seduttivo, con la canzone d’autore.

Inoltre, con il mese di giugno alle porte, si avvicina anche il tempo sospeso delle attese vibranti, quando la musica d’autore si fa rito e memoria: il Premio Tenco, con il suo respiro lento e potente, sta per riaprire i corridoi silenziosi della giuria per l’assegnazione delle targhe. Il nostro auspicio è che venga data un’attenzione speciale a questo album così originale, nel quale la ricerca sulla musica e sulla parola di Michele Gazich raggiunge il suo culmine.

Virginia Rifilato intervista Michele Gazich

Ho avuto l’onore di incontrare Michele Gazich per la nostra attesa intervista al Grand Hotel Palace Roma di via Veneto, uno di quei luoghi magici che solo la città eterna sa regalare: un calore ancestrale, mescolato all’odore di una Belle Époque ancora viva e alla bellezza classica degli affreschi di Guido Cadorin. Gazich mi racconta subito che la sua musica nasce da una necessità di nomadismo, di “dromomania” per usare un termine a lui molto caro. «Se mai facessi un altro album dopo “solo i miracoli hanno un senso stanotte in questa trincea” (cosa che dubito), lo chiamerei proprio ‘Dromomania’, sai?», mi confida prima di cominciare la nostra conversazione.

L’intervista a Michele Gazich

La lavorazione di “solo i miracoli hanno un senso stanotte in questa trincea” è stata lunga e molto sentita. Partiamo dall’inizio

«Il titolo nasce dal fatto che viviamo in un tempo così “incredibile” che è più facile credere ai miracoli. La parola “trincea” sembrava eccessiva, quasi fuori luogo quando ho cominciato a lavorare a questo disco, ormai 15 anni fa, e invece oggi, purtroppo, è di sconcertante attualità. La realizzazione di questo album mi ha accompagnato per 15 anni della mia vita; nel frattempo, tuttavia, ho lavorato ad una decina di altri dischi, miei o coadiuvando altri artisti. Ho vissuto buona parte degli scorsi anni negli Stati Uniti, lavorando dal vivo e in studio al fianco di songwriter statunitensi; nel fattempo, scrivevo e mettevo da parte alcune canzoni (quelle che sono diventate poi la sostanza di questo nuovo disco), come un qualcosa di prezioso che avrebbe dovuto far parte di un disco “postumo”. Per fortuna tale non è stato e l’ho pubblicato in vita, ma di questo parleremo… Ho scelto di presentare il mio nuovo album attraverso una serie di concerti in luoghi molto evocativi, che ho denominato “miracoli in viaggio”. Abbiamo dunque viaggiato dalla Val D’Orcia fino alla Radio Svizzera, dalla sala Estense di Ferrara fino al FolkClub di Torino (un luogo storico e magico, dove il pubblico ti accoglie come in un abbraccio), per giungere anche a Roma, a Villa Malta, la sede di Civiltà Cattolica.

Ogni canzone dell’album ha uno specifico riferimento letterario, ogni canzone nasce da un libro e per questo motivo ho deciso di effettuare due presentazioni in questo mese di maggio in quell’ambito (il 4 maggio a Bergamo, alla Fiera dei Librai, e il 18 maggio al Salone del libro di Torino).»

Michele Gazich nel dehor del Grand Hotel Palace Roma 1

Quando è stato il momento in cui hai deciso di pubblicarlo questo album anziché lasciarlo ai posteri, come era inizialmente tua idea?

«Mi ero confrontato con Giovanna (Famulari) e altri amici cari, ai quali confidavo che stavo tenendo da parte le canzoni che ritenevo migliori per lasciare un bel ricordo di me. Tutti mi rispondevano: “Ma sei pazzo! Pubblicalo questo album!”. Ho quindi pensato che forse era giunta la stagione giusta per queste canzoni, che sono in netta opposizione a ciò che ci sta attorno. Ho sempre avuto un certo spirito di contraddizione: sono di solito una persona cupa, invece in questi tempi oscuri guardo al miracolo, alla luce. La canzone per me più importante di questo album, oltre a quella che gli dà il titolo, è “la resa”: l’arrendersi non è necessariamente un concetto negativo, la resa è vita, è futuro, e veicola  qualcosa di molto positivo: il rifiuto della violenza. Sofia Pavan, mia moglie, è coautrice del brano, ed è sua l’espressione “possa il vento del nord trattenere il suo respiro”; me la scrisse in una lettera.»

Qual è il tuo miracolo, la tua àncora di salvezza?

«Sono tante le mie àncore. Mi sento in una fase più luminosa e più stabile della mia vita: dal 2017 mi sono progressivamente, e spero definitivamente, insediato dalle parti di Venezia dopo una vita passata in viaggio. Ho sempre faticato a radicarmi in un unico luogo; come tutti i musicisti mi porto dentro un’ansia di movimento, quella patologia a cui accennavo prima di inziare la nostra conversazione: la ‘dromomania’. Il movimento, per altro, definisce l’essenza della mia famiglia, se penso al fatto che la mia bisnonna è nata a Istanbul, suo figlio a Saint Louis, mio padre a Zara e infine io nell’Italia del Nord, a Brescia per essere precisi, città che, naturalmente, ho presto lasciato! Il mio cognome denuncia tutte queste storie, e questo essere sempre “di passaggio”… la Croazia, la Dalmazia… con una radice ebraica.»

Hai uno stretto rapporto con Venezia, ma anche con Roma. Cosa ti danno queste due città, anche dal punto di vista artistico e ispirativo?

«Venezia è il luogo dove ho desiderato vivere, è la città dell’incrocio culturale di ogni genere. Per cui, io che sono frutto di mille incroci, qui mi sento a casa. Inoltre ho una fascinazione particolare per il Rinascimento, Giovanni Bellini, Tiziano. Ci sono luoghi a Venezia dove tutto ciò risplende, Venezia è  bellezza: bellezza che risplende nel silenzio. A Venezia ci sono regni di silenzio dove i turisti non arrivano… Quanto a Roma, la frequentavo già nell’infanzia, amo la classicità, continuo a studiare e a leggere gli autori greci e latini, che continuano ad innescare, con un processo misterioso e fedele, la mia ispirazione. Gli incroci culturali avvengono anche a Roma ed è un luogo dove sento sempre il desiderio di ritornare.»

Michele Gazich al Grand Hotel Palace Roma 1

Da qualche anno collabori con Moni Ovadia, grande voce del teatro italiano, e non solo

«Con Moni e c’è sempre stata una fascinazione reciproca; condividiamo lo studio e l’interesse per le diverse tradizioni della musica ebraica (Gazich ha composto, ad esempio, “Maltamé”, canzone in ebraico-veneziano, inclusa nell’album “Temuto come grido, atteso come canto”  del 2018 o “Dia de Shabat”, in lingua sefardita, inclusa nell’album “La via del sale” del 2016  ndr.)

A luglio presenteremo in Friuli un nuovo spettacolo, “Yiddish Blues (Giovanna Famulari ed io abbiamo curato la direzione artistica e gli arrangiamenti), nel quale la parola recitata avrà un peso minore, e quella cantata uno maggiore. Spero di trarne anche un disco, di curare la produzione artistica di un album di canzoni di Moni Ovadia! Mi piace moltissimo lavorare con artisti del calibro di Moni, e non soffro nel cedere a lui il centro della scena. A differenza della maggior parte degli artisti, non ho un ego debordante: ciò mi ha permesso di collaborare molto, di curare decine di produzioni artistiche, di costruire paesaggi sonori sempre diversi e soprattutto di imparare dagli altri, fecendo tesoro dei loro successi ma anche dei loro sbagli.»

Come ti sei trovato con i songwriter americani con i quali hai collaborato?

«Ho vissuto vent’anni negli Stati Uniti, e ho bellissimi ricordi di quel periodo. In particolare sono legato a “Rifles & Rosary Beads” del 2018, di Mary Gauthier con la quale ho strettamente collaborato per lungo tempo; è una delle mie amiche più care ancor oggi. L’album è composto da canzoni scritte a quattro mani con soldati americani, che mostrano e raccontano dall’interno i disastri delle guerre statunitensi in particolare ma di ogni guerra in generale. Quest’album ha ricevuto una nomination, decisamente inattesa, ai Grammy nel 2019! Evidentemente una larga parte dell’America non la pensa come i suoi governanti. La candidatura ai Grammy ha dato una visibilità incredibile a questo disco: lo suonammo persino al Kennedy Center di Washington.

Ho vissuto in molte città degli Stati Uniti. All’inizio a New York, dove ho lavorato con il leggendario Eric Andersen, storico songwriter della generazione di Dylan, quella del Greenwich Village, formata da coloro che inventarono la canzone d’autore come oggi la intendiamo. Collaboro ancora con Eric: di recente è uscito un nostro concerto registrato a Tokyo e anche un nuovo album registrato in studio (“Dance of Love and Death”). Nashville è la citta dove ho risieduto più a lungo: a differenza del luogo comune, non è solo la città della musica country, ma è più in generale “the Music City”, città per antonomasia degli studi di registrazione. A Los Angeles ho registrato con Mark Olson l’album “The Salvation Blues”, canzoni di salvezza e di redenzione. Allora vivevo fuori Los Angeles, a Joshua Tree, nel deserto della California, dove risiede una meravigliosa comunità di artisti.»

Soffermiamoci sul brano che accompagna il meraviglioso video in bianco e nero che avete girato, “solo i miracoli hanno un senso stanotte in questa trincea”…

«Grazie per l’apprezzamento, Virginia. Tenevo al tuo parere e mi è piaciuto mostrarti il video in anteprima! “solo i miracoli hanno un senso stanotte in questa trincea” è una canzone suddivisa in due parti: una più angosciosa, con un ritmo incalzante, e un’altra più distesa, caratterizzata dalla ripetizione del mantra “solo i miracoli hanno un senso stanotte in questa trincea” che le dà il titolo; quindi anche il videoclip è volutamente spezzato in due parti molto diverse: la seconda parte sancisce e celebra una via d’uscita esistenziale. Il bianco e nero è ormai diventato la cifra stilistica di tanti miei video (“Argon”, “La Maga e lo Straniero”, “Fiume circolare”, “Materiali sonori per una descrizione dell’anima di Paolo F.”) e mi piace averlo mantenuto anche per questo. Il video è pronto e penso che sarà pubblicato a breve: il nostro fantastico ufficio stampa (Daniela Esposito, Strategie di comunicazione) sta lavorando per trovare uno spazio significativo e valorizzante. Certamente è la canzone più importante del mio album, è quella che gli dà il titolo e che ne svela il senso che è di speranza e di fiducia, malgrado i segnali nel nostro mondo attuale sembrino non dare alcuna via d’uscita. In ultima istanza “solo i miracoli hanno un senso stanotte in questa trincea” è una canzone di fede. Ma la mia fede non è nulla di consolatorio: non è una comoda sedia in cui sedersi, non è una caramella da succhiare. Ritengo che la fede, per essere tale, non possa essere né pacificata né gustosa. La fede è un pasto amaro, come il libro mangiato da Giovanni nell’Apocalisse, e brucia più del fuoco.»

Michele Gazich al piano 1

Qualcuno recentemente ti ha definito “uno degli ultimi poeti e musicisti resistenti”. In che modo ti appartiene questa espressione?

«La definizione naturalmente mi lusinga e mi fa piacere, ma mi sembra fin troppo altisonante. Io sono più minimalista nel giudicare me stesso: mi sembra incredibile essere riuscito a sopravvivere fino alla mia età facendo quello che desideravo! Mi sembra un miracolo! Se qualche merito ho avuto in tutto ciò, credo che risieda nel non aver mai ceduto a fare qualcosa che non fosse squisitamente artistico, per esempio non ho mai suonato in una cover band, neanche quando ero un ragazzo! Piuttosto ho fatto altri lavori…»

Procedendo con la tracklist di questo nuovo album, c’è un brano decisamente simbolico, “sanguedolce”, ispirato alla vita di Giovanna d’Arco, la cui incarnazione è affidata all’altra Giovanna con la quale condividi il palco e la tua avventura artistica: Giovanna Famulari

«Sì, Giovanna è colei che porta quel nome come uno scudo e un vessillo, come racconto ogni volta quando presento questa canzone dal vivo. Giovanna è una musicista-alchimista, capace di trasformare il suono in luce. In tutta la miriade di progetti ai quali ha partecipato, tra teatro, musica e canzone d’autore si è sempre spesa molto, con generosità. “solo i miracoli hanno un senso stanotte in questa trincea” racconta della nostra amicizia e del nostro sodalizio artistico. Entrambi proveniamo dalla musica classica, anche se ce ne siamo allontanati per una sorta di insofferenza verso quell’ambiente, pur amandola profondamente. Giovanna era perfetta per collaborare a questo album, in cui la canzone d’autore dialoga con il classicismo viennese (Haydn, Mozart, Beethoven), ma anche con il primo romanticismo di Schubert.

Ne è nato un album molto inusuale, un disco di canzoni senza la chitarra, ma realizzato esclusivamente con viola, violino, violoncello, qualche percussione e le nostre due voci (a parte un coro conclusivo nell’ultimo brano “solo i miracoli hanno un senso stanotte in questa trincea”, coro che Michele definisce “dei puri di cuore”, ndr).»

Attraversando gli altri brani di questo splendido album, ti chiedo come è nato “perché goethe è partito per l’oriente?”

«È una canzone che mi sta particolarmente a cuore e non a caso apre il disco. In età avanzata, Goethe si innamorò follemente di una donna più giovane di lui: ciò gli diede lo spunto per scrivere un canzoniere d’amore molto originale, alla maniera orientale, ispirandosi allo stile del poeta persiano Hafez. Goethe scrisse quindi questo libro di poesie affascinantissime e capricciose, senza una struttura chiara, (le chiamava “il gioco selvatico della polvere e del vento”) e, programmaticamente, lo intitolò “Il Divano Occidentale-Orientale”. Il libro parla del conflitto tra Oriente e Occidente, conflitto che ancora e forse soprattutto oggi divampa. Goethe, 200 anni fa, ne aveva sognato la soluzione, la dissoluzione attraverso l’amore. Se lo avessimo ascoltato, forse vivremmo tempi diversi. Ma i poeti non vengono mai ascoltati…»

solo i miracoli hanno un senso stanotte in questa trincea cover e back cover 1

Ho notato che tutto il libretto è scritto in minuscolo…

«Sì, ed è una cosa a cui tengo molto perché in un mondo in cui troppi tendono a darsi la maiuscola, mi è parso saggio procedere con le minuscole. E anche Giovanna ed io ci siamo fatti “minuscoli”, come si può vedere nelle foto di copertina e retrocopertina dell’album, in cui siamo “tornati” bambini!»


La musica di Michele Gazich è un viaggio, un volàno per navigare negli intricati paesaggi dell’esperienza umana. E quest’ultimo album, “solo i miracoli hanno un senso stanotte in questa trincea”, ne è forse l’emblema più rappresentativo. (Speriamo, tuttavia, che non sia proprio l’ultimo!)

Giornalista del Quotidiano La Voce e Direttrice de Il Circolo del Golf, è collaboratrice di InsideMagazine dal 2020

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Laureata in Lettere con la specializzazione in Editoria e Giornalismo presso l'Università degli Studi Roma Tre, e diplomata anche presso la Scuola di Scrittura Omero, Virginia Rifilato è una giornalista di grande talento e esperienza, con una solida carriera nel campo del giornalismo e delle collaborazioni con importanti media nazionali come La Repubblica, come editor nell'industria cinematografica e televisiva per importanti canali satellitari e terrestri come Sky e Tim Vision, e collaboratrice di alcune emittenti radiofoniche di spicco, tra cui Radio 3 e Dimensione Suono Roma.

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All'interno del magazine InsideMagazine, Virginia ha il compito di curare le interviste di punta, offrendo ai lettori un'esperienza avvincente e coinvolgente. La sua passione per la scrittura e la sua capacità di raccontare storie affascinanti, oltre alla sua abilità nel creare domande incisive e nel catturare l'essenza delle personalità intervistate, la rende una risorsa di grande valore per la redazione.

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