Le canzoni diventano asset finanziari. Pro e contro di una delle tendenze emergenti più curiose e promettenti nell’ambito degli investimenti alternativi
Immaginate di investire in una hit musicale come “Survivor” delle Destiny’s Child o “La solitudine” di Laura Pausini, e di ricevere una percentuale ogni volta che quella canzone viene ascoltata su Spotify, usata in una pubblicità o trasmessa alla radio. Non è fantascienza: è il trading musicale, una delle tendenze emergenti più curiose e promettenti nell’ambito degli investimenti alternativi. Un mondo in cui le canzoni diventano asset, gli artisti si trasformano in startup e gli investitori, grandi o piccoli, possono trarre profitto dalle royalties musicali. Ma come funziona il trading musicale? E soprattutto, è un investimento da “primi in classifica” o ci sono dei rischi?
“Il trading musicale – spiega il pluricampione del mondo Andrea Unger – è un sistema che consente di acquistare e vendere quote di diritti su brani musicali. In pratica si può diventare comproprietari di una canzone e ricevere una parte degli incassi generati dai suoi utilizzi commerciali”.
Ad oggi esistono due principali modelli: Exchange centralizzati e Blockchain/NFT musicali. Gli Exchange centralizzati funzionano in modo simile a un mercato azionario e consentono agli utenti di acquistare diritti d’autore a partire da pochi euro, offrendo rendimenti legati agli ascolti digitali e alle licenze. Un esempio di Exchange centralizzato è la piattaforma ANote Music, che ha reso investibili hit storiche come “Survivor” delle Destiny’s Child – gruppo in cui ha fatto parte Beyoncé. Nell’ambito Blockchain e NFT musicali troviamo invece realtà, come BitSong, che permettono di tokenizzare la musica, rendendo ogni traccia un bene digitale scambiabile con smart contract che gestiscono i ricavi. L’artista 3Lau, ad esempio, ha guadagnato oltre 11 milioni di dollari tokenizzando i diritti di un album, mentre Grimes ha venduto NFT musicali per oltre 6 milioni in pochi giorni. Questi modelli stanno creando un nuovo rapporto tra artista, fan e investitore.
Secondo gli operatori i vantaggi possono essere molteplici. Ma è realmente così? Secondo Andrea Unger, “Sebbene l’accesso a un asset innovativo come le canzoni di successo (che hanno uno storico tracciabile e possono generare flussi di cassa costanti) possa offrire dei vantaggi, esistono anche importanti rischi da non trascurare”.
“Prima di tutto – prosegue – abbiamo quella che potremmo definire ‘volatilità culturale’, ovvero il fatto che una canzone possa passare di moda da un giorno all’altro. Poi è bene ricordare che, trattandosi di un nuovo settore, la regolamentazione è ancora fragile e vi sono numerose piattaforme che operano in aree grigie dal punto di vista legale e fiscale. Esistono anche possibili rischi legati al mondo degli NFT, come smart contract ‘difettosi’ dovuti al fatto che non tutti i contratti digitali garantiscono il pagamento delle royalties in modo trasparente”.
Il trading musicale nasconde anche altri pericoli, soprattutto se non si hanno una comprensione e una consapevolezza adeguati del settore. Puntare solo su artisti emergenti e senza storico di ascolti, ad esempio, comporta un livello di rischio altissimo. Per questo, sarebbe meglio iniziare con brani noti e stabili. Anche ignorare i dettagli contrattuali può essere molto rischioso: aspetti come royalties, diritti di rivendita e scadenze devono essere chiarissimi prima dell’acquisto. Infine, come nel trading tradizionale, esiste anche un grande rischio legato alla mancanza di diversificazione: investire tutto su un solo artista o brano può essere molto pericoloso, pertanto è sempre meglio agire costruendosi un piccolo portafoglio musicale.
Unger sottolinea anche un altro problema: “Sotto alcuni aspetti il trading musicale assomiglia al fenomeno del trading sportivo, non per l’ambito ma per il tipo di messaggio che porta in sé. L’operatività si svolge in un ambiente familiare per l’investitore: ci si sente a proprio agio e ci si diverte anche nell’operare con qualcosa che richiama la propria passione. Si pensa di essere all’altezza nel comprendere quello che si sta facendo e questo può essere un ulteriore pericolo”.
Ma c’è dell’altro. “Il grande problema, in questo momento, è che c’è poca liquidità nel nuovo ‘mercato’ musicale, e i mercati con scarsa liquidità non sono per natura adatti al trading, perché qualora si volesse uscire dalla propria posizione, si rischierebbe di non trovare una controparte a un prezzo adeguato alle proprie aspettative. Circostanze specifiche come in caso di tour annullati per un cantante a causa di un raffreddore possono avere un impatto negativo sul valore delle royalties e di altre ‘quotazioni’. Potrebbe comunque avere senso considerare questo mercato come forma di investimento, ma sempre assumendosi le proprie responsabilità”.
Il trading musicale non è solo un investimento economico ma una forma nuova di partecipazione culturale, dove non ci si limita ad ascoltare la musica ma la si possiede, sostiene e monetizza. A questo punto viene da chiedersi: chi saprà leggere i trend, come un buon DJ, potrà trasformare l’ultima hit in guadagno? “Forse – conclude Unger – ma servono attenzione, studio, preparazione e consapevolezza. Intanto ascoltiamola. Poi si vedrà”.