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Come difendersi (legalmente) dal peso delle tasse (in 5 tappe)

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Questo articolo avrei potuto intitolarlo così: “Pianificazione fiscale: come uscire vivi (e puliti) dal sistema?”. Eh sì, se c’è una domanda che attraversa quotidianamente i corridoi delle aziende italiane — dai grandi studi milanesi fino agli uffici più pacifici e intimi della provincia — è la pianificazione fiscale. Sia quella dei grandi gruppi con uffici legali a cinque zeri, sia quella che riguarda l’imprenditore che produce, investe, cresce e si ritrova ogni anno a fare i conti con un sistema che tassa più del dovuto e restituisce meno del necessario. In un contesto in cui la pressione fiscale effettiva per una PMI italiana può superare il 59% degli utili (dati Banca Mondiale), la vera domanda non è più “quanto mi costa”, ma “quanto posso ancora sopportare”. E qui entra in gioco una consapevolezza nuova: pianificare non significa evadere, ma sopravvivere.


Nel 2025, sempre più aziende italiane stanno riscrivendo la propria traiettoria finanziaria, e lo fanno guardando fuori dai confini, e il fenomeno non fa che crescere. Emirati Arabi Uniti, Portogallo, Svizzera: le destinazioni non sono esotiche, sono funzionali. Sono scelte strategiche di chi vuole tutelare il proprio patrimonio, proteggere la propria liquidità e, soprattutto, costruire un’impresa in un ecosistema normativo prevedibile. Ma per capire davvero come funziona una pianificazione fiscale intelligente — quella che rispetta le regole e allo stesso tempo le conosce a fondo — bisogna entrare nel cuore del metodo, e nel dettaglio di cinque scelte fondamentali. È qui che il discorso cambia passo.

Pianificare significa prevedere, non fuggire

Negli ultimi dodici mesi, un numero crescente di imprenditori italiani ha iniziato a spostare la conversazione dal “quanto paghi di tasse?” al più strategico “dove sta crescendo davvero il tuo capitale?” — ed è in questa transizione che la pianificazione fiscale diventa un asset, non un riparo. Secondo l’Indice Internazionale di Competitività Fiscale stilato dalla Tax Foundation, l’Italia si colloca al 36° posto su 38 Paesi OCSE: un dato che parla da solo. Ma più eloquente ancora è il trend: i Paesi che offrono sistemi fiscali trasparenti, con tassazione chiara e politiche di incentivo all’investimento, stanno attirando le imprese italiane non solo per i benefici fiscali diretti, ma per la qualità dell’ecosistema.

Negli Emirati Arabi Uniti, ad esempio, l’imposta sulle società è fissata al 9% solo oltre una soglia minima di reddito, senza contributi previdenziali obbligatori né anticipo IVA, con zone franche che garantiscono il 100% della proprietà estera. Ma attenzione: non si tratta di uno schema “mordi e fuggi”. Strutture di questo tipo richiedono un quadro di compliance rigoroso, business reale e coerenza operativa. Ed è qui che diventa subito evidente la differenza tra chi improvvisa e chi si affida a un partner capace di navigare tra giurisdizioni, bilanci e obiettivi di crescita. Le aziende che oggi riescono a proteggere e moltiplicare il proprio patrimonio non lo fanno eludendo, ma scegliendo contesti in cui investire è un’azione premiata, non penalizzata. Dove si può pianificare a cinque anni, non solo sopravvivere all’anno fiscale in corso. E dove avere una consulenza non significa ricevere un escamotage, ma una strategia coerente con i valori dell’impresa. A questo punto, però, una domanda resta sospesa: come si costruisce davvero un progetto di internazionalizzazione fiscale sostenibile, legale e utile per un’azienda italiana oggi?

Cinque mosse per uscire dall’inferno fiscale (legalmente)

Affacciarsi a un processo di pianificazione fiscale internazionale non può essere una scorciatoia: deve essere un cambio di paradigma. Serve metodo, serve conoscenza, e soprattutto serve consapevolezza. Ed ecco un aiuto per iniziare: cinque passaggi chiave per costruire un progetto fiscale realmente sostenibile, come emerso dai casi di studio e dall’esperienza consolidata dei team di advisory più strutturati:

  1. Analisi della posizione attuale
    Prima di pensare a dove spostarsi, bisogna sapere esattamente dove si è. Una valutazione completa della situazione patrimoniale, giuridica e fiscale dell’azienda (e dell’imprenditore stesso) è il punto di partenza. Vanno considerati il modello societario, i flussi di cassa, la fiscalità personale e familiare.
  2. Scelta della giurisdizione con logica funzionale
    Non esiste il “Paese migliore”, ma solo il più adatto al proprio modello di business. Dubai, ad esempio, funziona per chi ha una componente internazionale nei clienti, margini alti, e vuole operare in un ecosistema pro-business. Ma ci sono altri Paesi, come Malta o il Portogallo, che offrono strumenti specifici per determinati settori.
  3. Creazione di una struttura reale, non artificiale
    La sede deve essere operativa, con uffici, risorse umane, conti correnti attivi e tracciabilità. Le autorità fiscali internazionali (Italia inclusa) stanno affinando i criteri per riconoscere la “sostanza economica”: chi apre una società estera senza attività concreta rischia accertamenti, sanzioni e il rientro coatto dei capitali.
  4. Protezione del patrimonio con strumenti giuridici ad hoc
    Trust, holding, fondazioni di diritto internazionale: non sono strumenti per pochi, ma architetture giuridiche perfettamente legittime se ben pianificate. La loro funzione è separare il rischio operativo dal patrimonio, garantire la continuità e favorire il passaggio generazionale.
  5. Affidarsi a un advisor specializzato (non a un generalista)
    Un commercialista generalista, per quanto competente, non può padroneggiare normative internazionali complesse, trattati bilaterali, compliance fiscale cross-border e procedure bancarie estere.

Come distinguere allora l’opportunità dalla scorciatoia? La solidità dalla finanza creativa? La risposta, per molti, arriva sotto forma di una consulenza strutturata, e un nome inizia a circolare con insistenza in ambienti sempre più diversi. Ecco perché sempre più aziende si rivolgono a strutture come la Daniele Pescara Consultancy, con sedi a Dubai, Milano e Londra, e un team multidisciplinare in grado di coprire ogni aspetto: fiscale, legale, bancario, societario. Sarà anche, probabilmente, per la Master Partnership con Il Sole 24 Ore, per il passaparola tra una clientela d’elite, ed ancora, per gli anni di esperienza che si sommano tra i vari componenti di un team che sfiora i quaranta elementi, ognuno con una specializzazione diretta in ambito AML & Compliance.

Quando si parla di questo tipo di realtà, non ci si affida a promesse miracolose, né a formule da manuale. Il valore reale è nell’approccio: legale, trasparente, calibrato sulle esigenze di ciascun cliente. L’obiettivo? Alleggerire, proteggere, rilanciare. E mentre l’Italia continua a perdere attrattività fiscale, in un’epoca in cui “restare fermi” equivale a perdere competitività, pianificare diventa sinonimo di anticipare, proteggere, evolvere. Ma solo chi lo fa con metodo, trasparenza e competenza può costruire un’impresa davvero resiliente nel tempo.

Paul Fasciano, Direttore di InsideMagazine e del Gruppo Editoriale Inside, è un mental coach prestato al mondo della comunicazione digitale. Con un background accademico in sociologia e una formazione in PNL, mindfulness e neuroscienze, ha dedicato oltre tre decenni allo studio delle dinamiche sociali odierne. E' autore di varie pubblicazioni incentrate sulla crescita personale nel complesso contesto contemporaneo. La sua missione è fornire ai professionisti le informazioni più aggiornate e rilevanti, migliorando la loro comunicazione e potenziando il loro mindset con strategie efficaci e mirate.

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