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Dimissioni di massa nelle aziende? Ne parliamo con Antonio Panico, business coach dell’anno

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Ad Inside Magazine arriva un ospite speciale per parlare di dimissioni di massa, un fenomeno che coinvolge il 60% delle aziende italiane. Il suo nome è Antonio Panico, business coach dell’anno per il magazine internazionale CEO Today, e visto che chi scrive è a sua volta, oltre a essere editore di InsideMagazine è anche un business coach, questo incontro è quanto mai gradito.

Antonio è a Miami per lavoro, io a Roma, e iniziamo subito una calda conversazione sullo stato dell’arte delle aziende in Italia, ma non solo in Italia. Sì perché in questo strano periodo di transizione stiamo assistendo a un fenomeno del tutto inedito, quello delle dimissioni di massa da parte di dipendenti che chiedono più meritocrazia, più flessibilità nel lavoro, maggiore propensione a lavorare su progetti, piuttosto che semplicemente “a ore” e, infine, una linea di comunicazione di qualità superiore. Il che si traduce, in sintesi, nella necessità di rivedere capacità e stile di leadership dei manager di oggi.

Antonio Panico

Tutta una questione di leadership

“Quando chiedo cos’è la leadership la gente mi risponde facendo un grosso giro di parole e quasi mai arrivando al punto, che poi è semplice ed è questo: la leadership è la capacità di condurre una persona o un gruppo verso un obiettivo. Oggi, questa caratteristica, è ciò che manca fin troppo spesso nelle aziende.

In un’azienda un leader deve stabilire insieme al suo team obiettivi chiari, credere in questi obiettivi e avere la certezza che questi possano essere raggiunti perché confida nelle persone che fanno parte del suo gruppo e nella sua capacità di gestione delle loro competenze.

I manager delle aziende che incontro hanno molte difficoltà a definire obiettivi e a guidare realmente con forza il gruppo”.

A cosa è dovuto secondo te, Antonio

“Molti di loro ritengono che comandare non sia una cosa giusta. Quindi, convinzioni verso il comando limitanti che si sommano ad una certa inesperienza nel definire specifici obiettivi, leader che non sono sicuri che il loro team possa farcela, la mancanza di convinzione anche in loro stessi, la paura di dare i giusti meriti, tutte queste cose insieme creano confusione e dove c’è confusione non c’è performance.

In un ambiente del genere è normale che anche i dipendenti non più giovanissimi, alla ricerca di un modello più attuale di azienda, dove si aspettano di poter contare sui loro leader come mentori e guide verso traguardi condivisi, motivanti, di un certo valore, non trovando un ambiente ideale per la propria serenità, decidano di cambiare aria”.

Oggi le persone stanno lasciando le aziende perché rivedono i loro valori e le loro priorità nella vita. Questo certamente è dovuto ai due anni di Covid e alla guerra che ci sta colpendo, che in qualche modo portano le persone a reagire alla grande incertezza e al periodo di grande allarmismo cercando una maggiore sicurezza. Per questo una buona leadership che dia valore alle persone mentre con capacità le conduce ai loro traguardi, è un appuntamento che non si può più disattendere”.

Appuntamento mancato con la leadership, quindi?

Sì. Questo è il grande tema oggi. Ho notato che le persone lasciano le aziende per pochi motivi. Uno di questi è certamente l’aspetto economico. Se una persona non è retribuita in maniera onesta, e per quanto vale, alla prima occasione andrà via. Ma la verità è che più spesso di quanto si voglia ammettere, le persone cambiano lavoro perché non si sentono guidati.

Il punto è che a nessuno fa piacere perdere. E quando non si raggiungono risultati perché il leader non trasmette certezza sulla possibilità di raggiungerli e non crede fermamente nel proprio team, in quella realtà lavorativa si smette di condividere l’esperienza della gioia per il risultato, ed è a quel punto che lo spazio per le critiche nei confronti dell’azienda si allarga.

Alle persone piace giocare in una squadra vincente, che vinca almeno delle battaglie e molte aziende invece giocano in difensiva e quando giochi solo in difesa, non puoi vincere. Puoi giusto limitare i danni”.

Cosa può fare il business coaching in questi casi?

“Il coach è spesso visto come un professionista meramente teorico, ed è assimilato e paragonato a un formatore. Quante volte hai sentito dire: questo è vero in teoria ma nella pratica è diverso. In realtà questa è un’affermazione incongruente. Questo perché la teoria non è che la spiegazione della pratica. Quindi, se ci stiamo occupando di teoria e diciamo “questo è quello che funziona in teoria, ma nella vita reale succede un’altra cosa”, vuol dire semplicemente che la teoria è sbagliata.

Il team di antonio panico

Il coach per sua natura non parla di teoria, ma pianifica insieme all’imprenditore un preciso schema d’azione. Così è anche da definizione UNI, secondo la quale nel coaching si instaura un rapporto di partnership tra coach e coachee che si fonda su un progetto in cui il coachee individua chiaramente fasi, tempi e organizzazione ideali per la sua realtà. Va da sé, quindi, che il ruolo del coach è molto pratico e si basa essenzialmente sull’operatività.

Detto questo, quando un coach viene definito come meramente teorico, vuol dire molto banalmente che in quell’azienda hanno sbagliato coach. Stiamo parlando di un ruolo che non è molto diverso da quello di un medico, che sicuramente parte da una scienza teorica, ma poi nella pratica visita, fa una diagnosi e individua una cura. Pensare che un medico sappia qualcosa in teoria, ma poi nella pratica faccia tutt’altro, è “folle”.

Pensa a un coach sportivo: ti fa fare cose per migliorare la performance sportiva, interviene modificando il gesto tecnico che poi ti consente di calciare la palla “a giro” e centrare perfettamente l’angolino della porta. Modificando anche solo un micro comportamento, ottiene enormi risultati. Ecco, questo rende il coaching una pratica completamente diversa da tutto il resto.


L’intervista continua in video:

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