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La paura di essere tagliati fuori ai tempi della pandemia. In una parola: FOMO

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Life Strategies, portale di divulgazione di risorse per il benessere psico-fisico fondato da Sara Pagnanelli, e ROI Group, insieme ai più importanti psicologi, intellettuali, scienziati e filosofi del mondo. promuove la cultura della crescita personale. La crescita personale è al centro delle attività di Life Strategies che, proprio in queste ore, pubblica un articolo sul senso di esclusione che ha accomunato l’intera umanità nell’ultimo anno. L’esclusione, la separazione, sono comuni denominatori in questo periodo di grande crisi mondiale “L’essere tagliati fuori da qualsiasi cosa, per proteggerci da una minaccia invisibile, ma reale. Rinchiusi in casa, abbiamo premuto il tasto “pausa” su molti aspetti della nostra vita. E quel tasto è, per certi versi, ancora in azione, perché non siamo ancora tornati alla completa normalità.”

Il tasto “pausa” che abbiamo cliccato riguarda alcuni aspetti fondamentali della nostra vita, delle nostre routine, come l’incontrarsi, l’abbracciarsi, ritrovarsi insieme, sostenersi, essere “presenti”. La parola presenza ha una doppia valenza, legata all’essere in un luogo, in quel tempo. Quella che viviamo in questi mesi, in questi anni, è proprio una sospensione del tempo, il galleggiare in un mare di dubbi e separazioni.

Separazione forzata

“Di storie di separazione ne abbiamo lette tante e vissute noi stessi: genitori separati divisi dai loro figli, figli separati dai loro genitori, nonni da nipoti. In un modo o in un altro, nell’ambito personale o professionale, ognuno di noi ha messo in pausa la propria vita.

Il virus ci ha sottratto tempo sociale, divertimento, affetti. Questa sensazione di perdita è ora comune a buona parte dell’umanità, ma di certo non è una sensazione nuova né tantomeno ha fatto capolino con il COVID-19. Se in passato ti è capitato di provare stress o ansia di fronte alle foto meravigliose postate da amici, parenti o conoscenti o anche sconosciuti, sai di cosa stiamo parlando. Ed è una sensazione più frequente di quanto si possa credere” e oggi ha un nome per definirla: FOMO.

Fear Of Missing Out

L’acronimo FOMO indica una forma di ansia sociale caratterizzata dal desiderio di rimanere continuamente in contatto con le attività che fanno le altre persone, e dalla paura di essere esclusi da eventi, esperienze, o contesti sociali gratificanti. In questo periodo pandemico questo tipo di ansia prende nuove diramazioni, si amplifica in alcuni contesti, cattura intere generazioni. Pensiamo ai più giovani e alla loro “esclusione” dalla scuola. Che in sostanza significa esclusione dalla vita, dalle esperienze formative, quelle che rimangono impresse per gli anni a venire. Forme di costruzione della propria identità e del proprio tessuto sociale, legate alla costruzione di un’identità fondata sullo scambio, sul mettersi alla prova, sul confronto. Così cresce la paura di essere tagliati fuori, privati, l’ansia di stare perdendo il meglio e le cose più importanti. Questa preoccupazione interessa soprattutto i giovani, ma non solo i giovani, ed è legata a doppio nodo anche alla realtà dei social media, che da un lato permettono di entrare subito in contatto, in modo semplice e schietto, ma dall’altro alimentano la superficialità di immagini costruiti, di confronti con il mondo patinato degli altri, sempre alla rincorsa di mostrare il meglio delle proprie esistenze con post di foto di grandi sorrisi, di tramonti sul mare con gli amici, di aperitivi vip, conditi da frasi ad effetto, ispirate, catturate magari da qualche libro e da qualche poeta. L’ultima campagna della Diesel, nota marca di abbigliamento, richiama con forza a questo tipo di ostentazione, ne abbiamo parlato QUI.

Così, navigando nel mare di queste perfezioni, rimaniamo invischiati nella sensazione che altrove sia meglio di qua. Che non stiamo facendo abbastanza, che stiamo perdendo il treno.

“Foto di coppie felici, vacanze paradisiache, ferie all’insegna dell’avventura, cibi esotici e ristoranti di lusso. Sicuramente, questa fobia, la FOMO, c’è sempre stata. Una paura, capirete bene, non proprio bizzarra e tutt’altro che rara. La sigla, dall’inglese Fear of missing out”, sta per paura di rimanere esclusi, di essere tagliati fuori. Ha a che fare con la spiacevole sensazione che la nostra esistenza sia tagliata fuori da qualcosa di straordinario.

Si sa, i social mostrano solo ciò che “ognuno vuole mostrare”, con immagini che spesso sono “photoshoppate” o filtrate. Quanto ci sia di vero dietro queste foto è stato spesso al centro di dibattiti, studi e riflessioni. Basti citare l’organizzazione benefica contro il bullismo e i pregiudizi Ditch the Label, che tempo fa ha creato un video per denunciare l’incompatibilità tra la vita reale e quella che mostriamo nei social.”

Ditch the Label

Il meccanismo del confronto

“Quando cadiamo nel meccanismo del confronto e pensiamo di non essere all’altezza di ciò che fanno, sono o mostrano le altre persone, la trappola in cui spesso rischiamo di cadere è quella della menzogna, più o meno innocua. Nel video in questione questo aspetto è forse portato all’estremo, ma non è così lontano dalla realtà come possiamo credere.”

Dunque, la Fomo è una forma di ansia sociale e preoccupazione compulsiva di perdere l’opportunità di interazione sociale, mediata tipicamente dal digitale. La ricerca accademica la identifica in modo ormai preciso. Ma cosa dicono gli ultimi studi a riguardo?

“Lo psicologo Richard Sherry sottolinea ad esempio che “il desiderio di presentare la migliore versione di se stessi è comprensibile, ma può portare gravi problemi. Il lato oscuro di questo conformismo sociale arriva quando perdiamo noi stessi o neghiamo ciò che autenticamente siamo, a un livello in cui a volte non ci riconosciamo più”. Quando questo comincia ad accadere – avverte l’esperto – prendono vita sentimenti di colpa e disgusto verso noi stessi, che possono creare una trappola cognitiva di alienazione e anche un senso di distacco e di paranoia”.

Un’indagine condotta da LivePerson su 4.013 utenti tra i 18 e i 34 anni in vari paesi nel mondo, tra cui Australia, Germania, Francia, Giappone, Regno Unito e Stati Uniti, ha messo in luce come i giovani sottoposti al questionario preferissero la comunicazione digitale attraverso mail, messaggi istantanei o social piuttosto che di persona. L’unico paese, interessato dalla survey al di sotto della soglia della metà di giovani che interagiscono maggiormente online che in contesti fisici, è la Germania per un decimale di punto percentuale (49,9).

In Italia la tendenza è allineata: l’OssCom (Centro di Ricerca sui media e la comunicazione) dell’Università Cattolica, ha realizzato una ricerca sul rapporto quotidiano dei giovani con i social media al fine di individuare i comportamenti più rischiosi. Successivamente la ricerca è stata estesa coinvolgendo anche i Corecom di Lazio e Campania con le Università Federico II di Napoli, La Sapienza, la LUMSA di Roma e la Cattolica di Milano. Dallo studio è emerso che i ragazzi navigano in internet ancor prima di possedere un telefono cellulare e che l’età media in cui si possiede il primo smartphone è compresa tra gli 8 e i 12 anni, l’Italia risulta essere il paese Europeo in cui l’età media di accesso a internet è più alta.
Lo studio ha rivelato che l’uso dei social media è centrale nell’esperienza online dei più giovani, soprattutto nei pre adolescenti (11-14 anni) con un impattante 86,5% di utenti tra gli 11 e i 18 anni che ha almeno un profilo attivo sui social network. WhatsApp risulta essere per i giovani, ma non solo per loro, l’applicazione più utilizzata in assoluto.

Altre ricerche (GlobalWebIndex), sempre dal summenzionato articolo, riportano che i teenager passano mediamente 3 ore e 38 minuti a navigare nel web attraverso i loro smartphone. Ne consegue che, secondo le ricerche effettuate, l’alta esposizione a questo tipo di comunicazione “mediata” corrisponde a bassi livelli di bisogni di soddisfazione e di soddisfazione della vita, alta distrazione alla guida e in classe (dovuta ai dispositivi).

Lo psicologo John Grohol studia gli affetti della FOMO secondo il quale ricorda il senso durkheimiano di allontanamento dalla vita individuale per assenza di un legame con la comunità vissuta come anomica, ovvero nel disagio profondo per assenza, debolezza o conflitto con le norme sociali. Di fatto i social, almeno dal punto di vista della FOMO, sono legati all’esperienza di un’assenza percepita degli altri.

“Al di là del dibattito sul confronto con i social media, la spiacevole sensazione che ci stiamo perdendo qualcosa di importante va oltre il mezzo di comunicazione in sé. Tant’è vero che per alcune persone over 30-40-50 anni, questo sentimento è nato ai tempi delle scuole medie (a quel tempo i social non avevano ancora modificato la percezione della quotidianità).” Insomma, è doveroso ammettere che non è colpa diretta degli smartphone né di Mark Zuckerberg. La “Fear of missing out” nasce nel nostro cervello ed è in noi da prima dell’invenzione dell’hashtag. 

Fomo Sapiens: non solo nativi digitali

“Nel libro Fomo Sapiens, l’autore Patrick J. McGinnis, il primo a usare l’acronimo FOMO, che è entrato nell’Oxford Dictionary nel 2013, scrive:

“Così come l’Homo sapiens rimpiazzò l’Homo erectus, l’umanità moderna sta cedendo il passo a una nuova specie: il FOMO sapiens. […] E come l’Homo habilis era definito dai suoi utensili di pietra, il FOMO sapiens esibisce alcune caratteristiche distintive. Osservandolo nel suo habitat naturale, lo vedrete affannarsi a seguire tutte le cose reali o immaginarie che potrebbero rendere la sua vita perfetta, se solo si potessero fare o ottenere all’istante.”

Nonostante si tenda a credere il contrario, la FOMO non appartiene – come dicevamo – solo ai nativi digitali. Può colpire tanto la casalinga sessantenne “assalita dalle prodezze dei nipotini delle amiche” quanto un CEO di mezza età, che guarda con invidia le trasferte lavorative dei colleghi più giovani. Nonostante il termine sia diventato quasi di moda, gli effetti sono tutt’altro che piacevoli: ansia, insicurezza, depressione, tristezza, invidia perenne di sottofondo. Come ci ricorda lo psicologo e psicoterapeuta Giulio Cesare Giacobbe, come individui siamo soliti basare la nostra autostima sui nostri successi. Se possediamo tante belle cose, ma ci sentiamo falliti e non di valore, non riusciamo né ad amarci, né a perdonarci, né ad accettarci per quello che siamo.”

Oltre la FOMO

Se la “paura di essere tagliati fuori” nasce dall’uso eccessivo di tecnologia e social network per “guarire” è necessario ripristinare un rapporto equilibrato con la vita “in presenza”. Proprio quello che la pandemia ha tagliato fuori. Siamo di fatto costretti per DPCM a vivere da remoto, sentendo amici e parenti in videocall o attraverso una serie infinita di messaggini. Marta Beck dell’Huffington Post U.S. paragona la FOMO alla sensazione di Cenerentola la sera del ballo e consiglia di risolvere il dilemma della scarpetta di cristallo spegnendo il pc e mettendo da parte il telefonino: “Questo è un gran momento per la tua vita – scrive la Beck nell’articolo “Fighting FOMO: 3 Strategies To Beat Your Fear Of Missing Out” – se lo assapori in pieno, vedrai quali meraviglie ne usciranno fuori. Impara a non dedicare tutto te stesso ai media. Prova, non potrai credere a quello che ti stavi perdendo”.

“Lo abbiamo visto soprattutto all’inizio della pandemia” – continua l’articolo di Life Strategies – “durante le primissime settimane del lockdown, ciò a cui abbiamo assistito è stata una frenesia di attività, una gara a chi si mostrava più attivo: con la lettura, con la ginnastica, in cucina, con gli aperitivi su Zoom o con il bricolage.

“In una sola serata una mia collega ha studiato francese, suonato la chitarra, preparato la pizza con suo marito e partecipato al flash mob delle lucine accese contro il coronavirus.”.

In effetti, sui social (ma non solo) le persone sembravano divise in due grandi filoni, ben distinti: 1. Chi faceva cose e lo scriveva e 2. Chi non faceva niente e lo scriveva.

Secondo Patrick J.Mc Ginnis, si legge nell’intervista rilasciata all’Huffington Post, questa ondata non avrà solo conseguenze negative, ma renderà visibile un aspetto molto positivo: se non invalidante e patologica, la FOMO può trasformarsi in una straordinaria leva di crescita personale. Può diventare quella vocina incoraggiante che ti sprona a migliorarti, a cercare nuovi stimoli e sperimentare nuove cose.

Probabilmente proprio la pandemia che ha alimentato la FOMO potrà fare da leva per relegarla in un angolo. La voglia di uscire, di stare con gli altri, di partecipare a un concerto o a un evento, a uno spettacolo teatrale, di andare in vacanza, di partire per una crociera o anche, semplicemente, ritrovarsi a cena o in un parco con un gruppo di amici, fare esperienze insomma, preme dentro ognuno di noi. Probabilmente una forza che sta covando come in una pentola a pressione e che scoppierà dilagando quando avremo il modo di esprimerla in libertà e sicurezza.

Emily Dickinson viveva di FOMO a causa della sua agorafobia che l’ha proiettata in un mondo “virtuale” costringendola tra le quattro mura della sua casa. Eppure nelle sue poesie racconta la vita in maniera incomparabile. “Vivere – scrisse – è così sorprendente che lascia poco spazio per qualsiasi altra cosa”.

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