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Matteo Berrettini, Wimbledon e i segreti del suo mindset vincente

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Matteo Berrettini vince a Wimbledon. Ora è semifinale. Ma il segreto del suo successo non è solo il “nuovo” rovescio, ma anche un impegnativo allenamento mentale.

Wimbledon “in testa”

“Una certezza ce l’ho: adesso non parto battuto con nessuno.” Parla di certezze Matteo, e già l’uso di una parola che non lascia spazio a dubbi, che prende posizione, racconta di uno spirito agonistico vincente.

Matteo l’ha capito contro Djokovic che stava facendo un balzo avanti, entrando nella cerchia dei grandi del tennis.

E ora, dopo la vittoria a Londra – che diventa sempre più il palcoscenico su cui prendono vita i sogni italiani, vista la finale che attende gli azzurri del calcio a Wembley – il prossimo scalino è ancora più arduo. Berrettini ha avuto la meglio ieri sul canadese Félix Auger-Aliassime, numero 16 del seeding, battuto con il punteggio di 6-3 5-7 7-5 6-3, in 3 ore e 4 minuti di gioco, e passa alla semifinale sul campo verde più ambito del mondo. Il prossimo avversario è Hurkacz: “forte, ma ho i mezzi per vincere” dice Berrettini, aggiungendo: “Sono felice di scrivere un nuovo capitolo della storia tennistica italiana”. Padrone del suo ruolo, del suo destino e felice di essere su quel palco.

“Sarà la prima volta per me in una semifinale di Wimbledon, ma anche per il mio avversario Hurkacz: se ha battuto Federer vuol dire che sta bene, ma io ho fiducia. Io in questo momento cerco di vincere ogni partita che gioco, ma ogni partita è difficile e diversa”. Sono le prime parole di Berrettini da semifinalista di Wimbledon, dopo la partita con Auger-Aliassime: “Lui è uno dei miei migliori amici nel circuito, abbiamo passato una parte della quarantena ad allenarci insieme in Australia, non è mai facile affrontarlo, ma lo sport è così e sono molto felice”.

Svelo un segreto – aggiunge il tennista romano – nella mia vita ho trascorso molto più tempo ad allenare il dritto che il rovescio. Si era capito subito che i miei punti forti erano il servizio e il dritto. E allora ci siamo detti: dobbiamo imparare a portare a casa più punti possibile con queste che sono le mie armi. Il resto possiamo migliorarlo ma su quei due fondamentali devo diventare devastante”.

Mindset vincente

Matteo lavora da anni con il suo mental coach Massari che proprio sul suo pupillo ha ammesso: “La sofferenza dei tennisti è aggrappata all’anima, e Matteo lavora per non soffrire”.

Il coaching, come professione, inizia con un libro emblematico: “The Inner Game of Tennis“, di Timothy Gallwey. Il coaching, che sia aziendale, team, life, l’e-Coaching che stiamo lanciando proprio con InsideMagazine, quindi inizia col tennis.

Perché nel tennis il gioco interiore, il parlarsi dentro, fa una grande differenza. Ciò che l’atleta si racconta sul campo, mentre gioca punto su punto, minuto dopo minuto in partite che a volte si rivelano estenuanti, in quelle ore di batti e ribatti, di punti geniali, ma anche di momenti di buio, in cui niente sembra andare per il verso giusto, iI tennis diventa una metafora della vita.

Proprio in questi momenti il “self talking” è l’aspetto più importante, oltre ovviamente alla prontezza fisica. Ma se un’atleta si è allenato ed è fisicamente pronto, non è detto che la mente lo sia allo stesso livello. E sappiamo bene, grazie alle tante conquiste delle neuroscienze, ma lo sapevano bene anche gli antichi quando declamavano “mens sana in corpore sano“, quanto mente e corpo siano un tutt’uno.

La mente e il cervello, per quanto confusi, non sono però la stessa cosa. Sono due “livelli” distinti in cui potremmo definire la mente come il software che programma l’hardware, che è il cervello, ad eseguire delle scelte, a impostare delle azioni. La mente si muove per “intenzioni” che guidano il cervello a predisporre l’aspetto hardware del nostro corpo ad esaudirle. Un veloce check del cervello, che distribuisce neuroni in chunk (gruppi), mandando in giro per il corpo il messaggio del “pronti a partire” e scatta il complesso sistema di risposta organica allo stimolo per eseguire il compito, ed assolvere all’intenzione. Dunque, l’informazione che è inserita dentro quell’istruzione diventa il centro motore dell’intera macchina. Compito del mental coach è di orientare e guidare il proprio coachee a inserire “lì dentro” messaggi di qualità, creando routine di eccellenza, sviluppando nel tempo un’attitudine alla performance sui massimi livelli personali.

Carol S. Dweck – AAPSS

E anche oltre, visto che il potenziale, come direbbe Carol Dweck, psicologa e ricercatrice americana, che grazie alla sua ricerca ha evidenziato l’esistenza del Growth Mindset, è qualcosa che può superare se stesso. Questo significa che ognuno di noi, se ben allenato mentalmente, può non solo raggiungere i limiti nell’espressione delle proprie abilità, ma anche superarli.

Il growth mindset, infatti, parte dal presupposto che l’approccio mentale è una qualità che può essere allenata e incrementata.

Oltre il limite

Matteo Berrettini è un esempio chiaro e schietto di mindset impostato alle sfide da superare. La sua è una solidità di testa rara nel circuito, costruita in anni di lavoro con il suo coach Stefano Massari. E presto Matteo scenderà in campo contro un avversario ancora più tosto e, nonostante questo, le sue parole sono di convinzione di essere nel posto giusto, nel momento giusto. Il suo.

“La mente di Matteo Berrettini, capace di tenerlo in gioco nonostante il dolore al costato che lo ha costretto al trattamento del fisioterapista facendo tremare i tifosi poco prima del termine della partita, nel terzo set. “Sotto le costole ho sentito qualcosa che tirava, il trainer ha parlato di una contrattura. Sul servizio soprattutto mi faceva male. Ero avanti due set, stavo giocando bene non ci voleva: per fortuna sono riuscito a chiudere in tre set”. Fortuna ma soprattutto capacità di soffrire, tenuta mentale, qualcosa che forse si era un po’ perso nel Berrettini del 2020, tenuto in top 10 dal congelamento delle classifiche.” Scriveva così Federica Cocchi sulla Gazzetta dello Sport dopo la vittoria di Matteo su Khachanov che lo portava agli ottavi degli Australian Open a febbraio scorso.

Il coach: Stefano Massari

Il mental coach di Berrettini è Stefano Massari, allenatore delle mente di molti campioni affermati, autore del libro “O vinci o impari”. Pagine intense, di racconti e momenti di vita di personaggi dello sport del calibro di Pietro Mennea, Flavia Penetta, Dino Zoff e, ovviamente, di Matteo Berrettini.

O vinci o impari: Come lo sport aiuta a diventare persone migliori di [Stefano Massari]

Sull’amico coach, Matteo ha recentemente dichiarato: ““Non ho mai trovato una persona che mi “sentisse” come fai tu. Insieme abbiamo sempre trovato la maniera migliore per uscire anche dai periodi di crisi. Sei il segreto dei miei successi”. 

Ciao, sono Paul Fasciano, un mental e powerful coach con una profonda specializzazione nel business e life coaching. Con un background accademico in sociologia e un'intensa formazione in PNL e neuroscienze, ho dedicato oltre tre decenni allo studio delle dinamiche che regolano la realtà e il comportamento umano. Guido il Gruppo InsideMagazine e ho scritto vari libri, concentrando i miei sforzi su come gli individui e le organizzazioni possano realizzare il loro pieno potenziale. La mia missione è assistere i professionisti attraverso un coaching potente, aiutandoli a definire e raggiungere i loro obiettivi più significativi, migliorando la comunicazione e implementando mindset e strategie efficaci.

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