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Crisis management, la disciplina che può salvare reputazione e business

Gestire il Pandoro-Gate, una Lezione di Comunicazione di Crisi

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Il Natale 2023 sarà ricordato per il “pandoro-gate”, un episodio diventato simbolo della Crisis management. Questo scandalo, che ha tenuto banco nel dibattito pubblico, pone un interrogativo cruciale nel settore della comunicazione e del marketing: come gestire una crisi che trascende un semplice errore comunicativo? La gestione iniziale di questa crisi ha rivelato una significativa carenza nella preparazione e nell’approccio alla comunicazione di crisi in Italia. L’analisi del pandoro-gate mette in luce l’importanza di un intervento rapido e trasparente per proteggere reputazione e business. Questa introduzione esplora le dinamiche di una crisi di ampia portata, offrendo spunti sulla necessità di una strategia comunicativa efficace e ben calibrata.

Il Pandoro-Gate e le sfide della comunicazione di crisi

Se volessimo descrivere nel modo più breve ed efficace il Natale 2023 non avremmo dubbi, useremmo solo due parole: pandoro-gate (a cui si sono aggiunti anche uova-gate, pupazzi- gate e chi più ne ha più ne metta). Da più di un mese, ormai, non si parla d’altro e, indipendentemente da quello che accadrà a livello legale, c’è una domanda che chi si occupa di comunicazione e marketing deve porsi: come è stata gestita questa crisi che, lo sappiamo, non può più essere considerata soltanto un errore di comunicazione?

Lo abbiamo chiesto a Simona Gelosa, PR manager di Communikey. La sua risposta in breve è una: “decisamente male, almeno all’inizio. Quella che sui manuali di marketing e comunicazione si chiama comunicazione di crisi – precisa – in Italia è una disciplina ancora poco nota e, purtroppo, molto poco studiata e considerata. Gestire efficacemente e tempestivamente una crisi, però, può salvare reputazione e business.

Come accaduto in casi simili in passato, anche in questa storia c’è stata mancanza totale di tempestività: in qualunque crisi il personaggio pubblico (un imprenditore, un cantante, un politico) deve intervenire subito in prima persona, chiedere scusa, spiegare cosa è successo e, soprattutto, come intende rimediare.

Minimizzare (si tratta di un errore di comunicazione) non è una buona idea, soprattutto perché risulta poco credibile che qualcosa, a certi livelli, possa sfuggire al controllo di chi si trova a guidare un’azienda che muove e fattura decine di milioni di euro ogni anno. Se così fosse, a livello manageriale, sarebbe veramente grave”. Una regola fondamentale del crisis management – che potremmo definire la regola – è una: trasparenza totale. Nel caso del pandoro-gate è completamente mancata, soprattutto dopo lo scoppio della crisi che è il momento in cui bisogna spiegare, chiarire, mostrare numeri e far capire che – anche se c’è stato un errore (e qui c’è stato, inutile negarlo) – in futuro non accadrà più.

In quello che è accaduto nelle ultime settimane c’è anche un po’ troppa confusione che mal si accompagna a una corretta gestione della crisi: una prima dichiarazione di voler impugnare la sentenza (e quindi una dimostrazione di non colpa), un video in lacrime in cui si parla, come abbiamo visto, di errore di comunicazione, silenzio social prolungato, qualche foto dei figli (probabilmente perché convinti che nessuno, meglio di loro, possano creare engagement) e, infine, l’annuncio dell’apertura dei saldi e ora immagini della quotidianità e dei viaggi come nulla fosse successo.

Messaggi troppo contrastanti che sembrano dire una cosa sola: non sappiamo cosa fare e le stiamo provando tutte. Una pessima strategia per gestire una crisi di tale portata.

“La comunicazione di crisi – conclude Simona Gelosa – non coinvolge soltanto il diretto interessato, soprattutto quando si tratta di un personaggio molto in vista. In questo caso specifico, potremmo parlare, per certi versi, di comunicazione a due voci che, per forza di cose, devono essere misurate, studiate e coerenti. Attacchi scomposti, aggressivi o sconclusionati via social contribuiscono a compromettere ulteriormente la reputazione e di certo non aiutano a (ri)costruire l’immagine di chi desidera prendersi le proprie colpe e, soprattutto, rimediare all’errore e tutelare il proprio business, ma anche il lavoro delle persone che in quelle aziende lavorano”.

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