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Attenzione, energia e pensiero: costruire la propria realtà

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A proposito di attenzione, di energia e di pensiero, voglio raccontarti la storia di Christopher Chabris e Daniel Simons, autori e docenti di Harvard. Due promettenti ricercatori che all’inizio della loro carriera, oltre alla passione per l’indagine sul comportamento umano, ad Harvard avevano in comune un corridoio: la stanza di uno era proprio di fronte a quella dell’altro. Quando entrambi arrivavano in facoltà non era affatto difficile che si ritrovassero nel corridoio con una tazza di caffè caldo tra le mani a scambiarsi battute riguardanti gli inverni rigidi a Cambridge. A forza di imbattersi l’uno nell’altro, presto scoprirono il loro comune interesse per lo studio delle modalità con cui il nostro cervello percepisce e interpreta la realtà. Chris, così, divenne assistente di Dan, il quale teneva spesso lezioni su questo argomento e insieme iniziarono a condurre una serie di esperimenti nei quali coinvolgevano gli studenti dell’università. Uno in particolare era destinato a diventare molto famoso.

L’esperimento

Durante un Corso di Comunicazione Efficace, era il lontano 2011, anche io sono stato sottoposto a questo stesso test dai miei docenti, il cui esito per me è stato, devo ammetterlo, alquanto sconcertante.

L’esperimento consiste nell’assistere a una sequenza video durante la quale due squadre di basket si scambiano palloni tra loro. Il compito assegnato è questo: contare precisamente il numero di passaggi effettuati dai giocatori in maglietta bianca, ignorando quelli dei giocatori in tenuta nera. Se vuoi cimentarti anche tu nel test, interrompi la lettura per una manciata di secondi e guarda il prossimo video con attenzione, seguendo alla lettera il compito:

  • contare precisamente il numero di passaggi effettuati dai giocatori in maglietta bianca, ignorando quelli dei giocatori in tenuta nera;
  • assicurati di tenere conto sia dei passaggi aerei, sia di quelli in cui la palla rimbalza per terra.
  • Alla fine dell’esercizio dovrai rispondere alla domanda: quanti sono stati precisamente i passaggi effettuati?
  • La risposta determinerà il tuo livello di attenzione.

Iniziamo….

La risposta giusta

Fatto?

Bene, se hai avuto la curiosità di eseguire il test su te stesso ti sarai probabilmente reso conto di quanto le nostre predisposizioni influiscano sul modo che abbiamo di percepire le cose intorno a noi.

Durante l’interrogazione dei volontari sottoposti al test originale, Chabris e Simmons chiedevano ai partecipanti:

Domanda: Hai notato qualcosa di insolito mentre contavi i passaggi.

Molti tra questi rispondevano: No!

Domanda: Hai notato qualche elemento diverso oltre ai giocatori?

Risposta: Be’ c’erano degli ascensori e delle S dipinte sul muro.

Domanda: Hai notato qualcun altro, oltre ai giocatori?

Risposta: No.

Domanda: Non hai per caso visto un “gorilla”?

Risposta: Un… che?

Sorprendentemente, circa la metà dei partecipanti non notava il gorilla che proprio a metà del video entra in scena camminando dalla destra fino al centro della sala, proprio in mezzo ai giocatori intenti a passarsi palloni, si batte allegramente il petto come fanno spesso i gorilla, per proseguire verso sinistra e, senza nessuna fretta, uscire di scena. In seguito, lo stesso esperimento venne fatto in molte occasioni, con soggetti diversi e in svariati paesi.

Anche nell’occasione in cui io stesso feci il test, circa la metà dei presenti in sala non si accorse del gorilla. Io ero tra questi.

Ma com’è possibile non notare un gorilla che è stato proprio di fronte ai nostri occhi per ben 9 secondi? Che cos’è che lo rende invisibile?

Attenzione a ciò che conta (per noi)

Questo errore percettivo deriva da ciò che viene chiamata “cecità da disattenzione”, e nasce da una innata carenza di focus nei confronti di ciò che non è previsto. In psicologia la percezione selettiva è definita come un errore che consiste nel modificare la visione che abbiamo della realtà per vedere ciò che per noi è atteso o familiare. In poche parole, mentre vediamo ciò che ci aspettiamo di vedere, non vediamo ciò che non ci aspettiamo di vedere.

E’ nota la storia tratta dalle memorie lasciate dal capitano James Cook e dal botanico imbarcato sulla sua nave Joseph Banks, alla scoperta delle isole Hawaii. La storia l’ho sentita per la prima volta durante una lezione di antropologia all’università. Si racconta che, quando le navi del capitano Cook arrivarono in prossimità di una delle isole dell’arcipelago, gli indigeni non riuscirono a vederle.

Si accorsero della loro presenza solamente quando il capitano e un drappello di suoi uomini sbarcarono sull’isola. E solamente dopo che Cook, scambiato in quel frangente per un dio in gentile visita, non le indicò loro dalla spiaggia. Stiamo parlando dell’incapacità di un’intera tribù di vedere una nave oceanografica britannica della Royal Navy, di quelle con tre vistosi alberi maestri ed enormi vele issate dalla poppa alla prua!

Mito o verità? Non è dato saperlo, ma per quanto riguarda il punto del nostro discorso fa poca differenza. A tutti sarà capitato di non accorgersi di qualche cosa che avevano proprio sotto il naso. Semplicemente stavamo pensando ad altro in quel momento, stavamo puntando, cioè, la nostra attenzione e la nostra energia in una direzione specifica, mettendo in una zona periferica tutto il resto. E, mentre ci ostiniamo a pensare di avere tutto sotto controllo, in ogni momento, è più giusto ammettere che l’energia va dove va il pensiero.

Una questione di attenzione

Tutto questo per dire cosa? Che quando ci concentriamo su qualcosa, facciamo crescere quella cosa, relegando il resto ai margini. Un po’ come la pianta che abbiamo in redazione. Stamattina era priva di vita, di vigore, perché nessuno negli ultimi giorni le aveva dato dell’acqua. Senza energia le cose tendono a morire. E questa è la prima considerazione. La seconda: ognuno di noi determina la propria realtà in base a chi è, a ciò che considera possibile e che, quindi, riconosce. Le cose nel nostro ambiente sono lo specchio della nostra anima, potremmo dire. Ci riflettono come noi ci riflettiamo in loro. Così, in qualità di osservatori, definiamo ciò che ci riguarda e ci compete, determinando i margini del reale che possono interessarci costruendo un’immagine del tutto personale di quello che ci succede.


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