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L’attività edilizia nella Roma imperiale

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Non solo sport, non solo luoghi, non solo articoli stop and go, giusto il tempo di un caffè. Insidemagazine è anche altro, è un contenitore che si lascia conquistare da quelle storie che scivolano attraverso la città, che ne pervadono i vicoli e le persone, che avvolgono cuori romaneschi anche se sono emigrati altrove. Un contenitore che racconta di tutto, il quale tutto, come le strade, tanto prima o poi portano a Roma.

Ed ecco allora il racconto delle origini di quelle strade, un viaggio indietro nel tempo, nella Roma antica, quella imperiale, che la fece grande grazie soprattutto all’abilità che dimostrò nel costruire consolari e palazzi, templi e acquedotti. Roma fu (e forse lo è ancora) città di grandi ambizioni, ma anche di geniali architetti, di ingegneri, di concreti visionari. Seguiteci allora in questo viaggio fino alle origini, laddove, qualche tempo dopo che Romolo e Remo ne delimitassero i limiti, i romani cominciarono a costruire Roma, mattone dopo mattone. Una città eterna che ancora oggi dà maestosa mostra di sé.

L’eccezionale sviluppo in volume e qualità delle costruzioni, verificatosi nella vasta area geografica dell’Impero Romano, specie durante i primi due secoli della sua storia, e’ la conseguenza, affatto casuale, di due fattori concomitanti. Da un lato, il controllo militare capillare di gran parte dell’Europa e di tutta l’area del Mediterraneo, allora appunto Mare Nostrum. Dall’altro, l’efficenza e il coinvolgimento dell’apparato burocratico statale romano.

Al primo fattore, si deve la facilità di approvvigionamento e stoccaggio di una enorme quantità di materiali da costruzione, come marmi, legname, metalli, laterizi, sabbia; essi provenivano da cave, foreste, fonderie, fornaci, sparsi in un territorio immenso e quindi, in pratica, inesauribile. A provvedere alla parte economica del reperimento di fondi, vi erano le ricchezze provenienti dai bottini di guerra e dalle esose imposte fiscali a carico delle province; mentre un’estesa base di mano d’opera a basso costo era disponibile attraverso l’incorporazione nell’edilizia di prigionieri e schiavi.

Al secondo fattore si deve la semplificazione procedurale e l’efficacia operativa della attività costruttiva, pubblica e privata. La magistratura romana era elettiva e durava in carica pochi anni; vi erano assemblee popolari preposte alle elezioni e le magistrature erano scalonate dal meno al più, secondo un graduale Cursus Honorum. Si cominciava da senatore o questore, con precedenza interscambiabile, e si seguiva con pretore, sino ad arrivare al Consolato. Dopo di esso, l’ultima carica elettiva era la Censura; ma questa era posta al di fuori del Cursus Honorum, perché per aspirarvi bisognava portare con sé un tale credito di auctoritas e dignitas, da porla al di fuori di una semplice onoreficenza. Ed era proprio il censore, con una fase operativa di un anno e mezzo, ad avere fra le sue responsabilità, quella di controllare i contratti dei lavori pubblici e la rispondenza di materiali e procedure alle specifiche costruttive.

All’inizio del periodo augusteo, intorno al 20 A.C., Vitruvio scrisse il suo De Architectura, un saggio in dieci libri, sul processo architettonico. Egli proveniva dai ranghi dell’ingegneria militare, allora all’avanguardia nella sperimentazione e attuazione di metodi costruttivi più rapidi e innovativi. Ma il suo De Architectura non è un manuale per fare conoscere tecniche aggiornate agli addetti ai lavori; è piuttosto un saggio rivolto al patronato, specie quello intorno alla famiglia imperiale. Ed è probabilmente per questo che esso, in modo molto conservativo, non si discosta molto dagli archetipi greci.

Il boom edile incominciato con Augusto, portò una scossa nel panorama architettonico del tempo e si assistette a un incremento delle specializzazioni in arti e mestieri e ad un aumento generale delle conoscenze tecniche. E con la scoperta delle miracolose proprietà della sabbia pozzolanica, lo sviluppo architettonico sarebbe risultato incontenibile, perché il cemento, dalle strutture murarie, si sarebbe spostato in alto, alle coperture.

L’arco e la volta erano conosciuti sino dall’età arcaica. Ma nella Roma imperiale, con la  pratica di utilizzare il cemento per la loro realizzazione, essi erano emersi a nuova vita. Implicito nel loro uso vi era la necessita’ di coprire grandi spazi, per riparare un numero di utenti sempre maggiore. Come puntualmente sarebbe accaduto nelle grandi terme e nelle basiliche.

Le terme pubbliche erano conseguenza dell’amore dei romani per l’acqua. Già al tempo dei primi re, a Roma si era costruita la cloaca massima e i primi acquedotti; e dopo erano venute le fontane pubbliche decorative e i cortili con giardino da irrigare. I bagni erano un omaggio ad una generalità di pubblico in cui non vi era distinzione di ceto o sesso; solo i servizi erano interrati e segregati per una servitù formata prevalentemente da schiavi.

Le basiliche, dedicate alla liturgia della giustizia, erano un segno della enorme attenzione dei romani per l’ordine proveniente dal rispetto delle leggi ed erano disegnate per la libera circolazione di persone, petizioni e reclami. La loro tipologia sarebbe culminata nell’immensità della Basilica di Massenzio.

Le opere edili di quel periodo, specie quelle pubbliche, erano inoltre caratterizzate da una grande  velocità di esecuzione, come per l‘Anfiteatro Flavio, terminato in soli cinque anni. Un omaggio allo spirito pratico dei romani e al loro desiderio di vedere le cose pensate e risolte. La stessa praticità era riservata alla previsione di spesa, in cui solo le costruzioni private avevano un costo fissato in anticipo; per una casa, per esempio, ci si poteva accordare su un prezzo finale basato sul numero di tegole installate. Invece, nei contratti pubblici, il costo era lasciato aperto e probabilmente i lavori venivano sovvenzionati ad avanzamento. Infatti, l’interesse principale non era riposto nel costo ma nel risultato finale e nel suo conseguimento in tempi brevi. Una conseguenza, come già osservato, dell’organizzazione politica, dove le varie magistrature dovevano produrre risultati concreti nel breve periodo del loro impiego istituzionale e spesso usavano il loro stesso patrimonio privato per raggiungere lo scopo prefissato.

In Grecia un architetto poteva lavorare nell’esecuzione di un solo edificio anche tutta la vita e molte costruzioni sono state lasciate incompiute. Un fatto inconcepibile nella Roma imperiale; la frenetica attività edilizia dei primi secoli, non si era mai vista prima di allora e sarebbe stata di là da venire per moltissimi altri anni. Solo nel Rinascimento avremmo assistito a qualcosa di simile.

La frenesia costruttiva non contribuì, come spesso accade, ad abbassare gli standard, facendo ricorso a ripetizioni e tecniche già sperimentate. Anzi, si tendeva sempre a conseguire il nuovo, il mai visto. Un esempio per tutti è il Pantheon, un vero e proprio prototipo, la cui cupola arriva a utilizzare il cemento in condizioni di stress estremo. Neanche oggi, con le possibilità di calcolo che i romani certamente non avevano, saremmo in grado, escludendo il fattore costo, di per sé proibitivo,  di realizzare una cupola di quelle dimensioni, usando solamente cemento e aggregati laterizi.

Con l’uso del cemento, la cultura architettonica del tempo fa un enorme balzo in avanti verso la modernità e l’edificio passa dall’essere assemblato, all’essere modellato; mentre la fase progettuale raggiunge una flessibilità prima sconosciuta. La necessità di coprire grandi spazi e di illuminarli al riparo dalle intemperie, attraverso il nuovo uso del vetro, è quanto di più moderno sia stato mai attuato nella storia dell’architettura.

Tutto questo proveniva dalla munificenza del patrono, radicata a sua volta, nell’interesse personale da lui riposto nella realizzazione dell’opera. Con essa infatti egli poteva e voleva trasmettere il simbolo della propria auctoritas; e attraverso di essa, gli edifici romani di quell’epoca incorporano il significato più profondo dell’animo romano: il senso del potere inteso come principio unificatore e organizzatore, necessario per amalgamare un aggregato di popoli fra i più diversi fra loro.

Un potere che dopo essere passato attraverso l’uso delle armi, si voleva radicare  in una supremazia culturale fatta di simboli e meraviglie.

Questo era il messaggio da leggere nell’architettura del periodo imperiale romano, sopratutto al suo inizio. Ed è lo stesso, attualissimo, leggibile ancora oggi, nella minima parte di essi rimasta ancora in piedi e nelle rovine sopravvissute. 

Follotitta vive tra New York e Miami, è architetto e appassionato di storia, architettura e politica. Una visione a 360° sul clima made in USA vista dagli occhi di un professionista "italiano in trasferta".

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