di Paul Fasciano –
Secondo la Harvard Business Review, una persona normalmente prende circa 2.000 decisioni, tra banali e decisive, ogni ora. E’ grazie alle scelte che facciamo che siamo ciò che siamo e prendere buone decisioni può fare davvero una grande differenza in termini di sicurezza, salute, relazioni, lavoro. Ma attenzione: l’affaticamento decisionale può diventare una vera e propria patologia. Ci si stanca a decidere proprio perché sappiamo che ogni scelta conduce a conseguenze.
Il fattore cortisolo
L’ormone dello stress, il cortisolo, prende il sopravvento in questi casi innescando un circolo vizioso decisione/stress che può condizionare le decisioni future. John Barg nel suo libro “A tua insaputa” descrive moltissimi studi condotti in questo ambiente, arrivando alla conclusione che la maggior parte delle nostre scelte, anche se apparentemente consapevoli, vengono dettate da fattori di cui non abbiamo nessuna consapevolezza. Ad esempio, tenere in mano una tazza di tè caldo influenza le nostre decisioni (in positivo) al momento di valutare un candidato che si è presentato per la nostra offerta di lavoro. Abbiate cura allora, se siete degli studenti, o siete alla ricerca di un nuovo impiego, di portare in dono al vostro esaminatore una tazza di qualche liquido bollente.
In base a uno studio dell’Università del New South Wales pubblicato su Scientific Reports, le nostre libere scelte tra due possibilità sono prevedibili dall’andamento dell’attività cerebrale 11 secondi prima di quando le formuliamo consciamente. Questo proprio perché, ancor prima della scelta razionale, siamo innescati dalle emozioni e ancora prima da una particolare propensione ad agire in uno o in un altro senso.
Alla base dell’atto del decidere c’è quindi una rete estesa di aree cerebrali che coinvolgono dapprima il cervello più antico, il rettiliano, istintivo e pronto all’attacco o alla fuga in un batter di ciglia. Poi quello mediano, il cervello limbico, che lavora in sinergia con emozioni più complesse della paura, come stati d’animo e sentimenti il quale passa l’informazione al vaglio dell’ultimo cervello, quello più razionale e calcolatore chiamato a pesare le convenienze di una certa decisione: la corteccia cerebrale.
Il cervello si serve di un complesso circuito di retroazione. Se ci troviamo di fronte ad una scelta, alcune aree del lobo frontale determinano una rapida secrezione di noradrenalina e di altri neuromodulatori i quali modificano nella corteccia cerebrale lo stato di attivazione interno delle regioni che calcolano la decisione.
Decision making
Nella vita quotidiana si prendono continuamente decisioni: in alcuni casi queste sono automatiche, mentre in altri casi prendere una decisione può essere un processo più lungo, impegnativo e complesso; per questo motivo il decision making caratterizza alcuni dei più importanti eventi della vita.
La soluzione sta nel creare un proprio modello decisionale partendo dal distinguere le scelte importanti – capaci di portare a cambiamenti significativi – dalle altre e delegare, se è possibile, l’intero processo che porta ad una decisione di questo genere al nostro Team.
Quindi in termini formali, il processo decisionale può essere considerato come il risultato di processi mentali (cognitivi ed emozionali), che determinano la selezione di una linea d’azione tra diverse alternative. Ogni decision making produce una scelta finale. I ricercatori nei campi della psicologia e dell’economia sono generalmente d’accordo sull’importanza di due fondamentali motivazioni nell’atto di prendere decisioni consapevoli, come il desiderio di ridurre l’incertezza e il desiderio di ottenere un vantaggio. Come suggerisce Paolo Borzacchiello, esperto di intelligenza linguistica, la prima domanda che ci poniamo quando siamo portati a prendere una decisione è: “what’s in it for me?“. Che cosa c’è qui per me?
Uno studio firmato da Platt e Glimcher suggerisce che le opzioni in fase di decisione siano valutate in termini di payoff atteso e probabilità di risultato: sono preferite scelte con payoff più alti e scelte che producono payoff più probabili. Questo è vero non solo negli esseri umani, ma anche negli animali. Gli autori hanno concluso che i neuroni si predispongono in un dato modo, non solo in base a uno stimolo diretto (ad esempio quello visivo), ma anche al guadagno atteso o alla probabilità di risultato di una decisione.
Quale vantaggio avrò nello scegliere in una direzione piuttosto che in una alternativa? Questa domanda guida quasi tutte le decisioni che prendiamo, dal momento in cui ci svegliamo e controlliamo istintivamente i nostri telefoni, a quando finalmente ce ne andiamo a dormire. WIIFM è il mantra subconscio che guida ogni nostra azione. E più scegliamo in un dato senso, e più saremo portati a farlo in futuro. Questo determina una “tendenza a decidere”. Cosa che non sempre si rivela efficace. Le vecchie risposte non sempre si adattano a nuovi problemi. Questo perché, al momento di decidere, le aree esecutive del cervello scelgono il sottotraccia più marcato e si lasciano portare sulla sua strada.
Considerato tutto, quindi, perché non guidare noi il processo e “allenare” il nostro cervello a prendere decisioni più funzionali?
Il modello GROW
Si tratta di stabilire in anticipo una, o una serie di routines, che ci aiutino nella fase di scelta.
Ad esempio, rendere routine incontri di condivisione, come i Circoli di Qualità della d.ssa Giovanna Kiferle, strutturati secondo la formula del GROW (Goal, Reality, Options, Will), utilizzata in ambiente coaching. Come funziona questo modello? Semplicemente, stabilito un obiettivo (cosa vogliamo raggiungere con le nostre decisioni?) valutata la situazione attuale, scandagliate le opzioni possibili. In questa fase si prova a introdurre nuove ipotesi. E’ una fase di brainstorming puro, in cui si usa la propria immaginazione per introdurre alcune idee completamente nuove, buttando dentro anche le proposte più bizzarre e inconsuete. L’idea di fondo, infatti, è quella di aggiungere nuove possibilità al modo di agire abitudinario, e uscire così dalla propria zona di comfort
In molti casi, in particolare se si tratta di cambiamenti importanti, pensare al di fuori dello schema (il solito schema) può davvero aiutare a prendere decisioni migliori.
Mettere in pratica questo modello include i passaggi:
- Elencare tutte le tue ipotesi tra cui scegliere;
- Trovare alternative ad ogni ipotesi, chiedersi addirittura: “e se facessimo l’opposto, cosa succederebbe?”
- Immaginare le conseguenze di ogni opzione segnando i vantaggi e gli svantaggi
Munirsi allora di un foglio e inserire al suo interno vantaggi, svantaggi, qualità, classifiche e tutto quello che può aiutare a restituire l’immagine finale. Parola d’ordine, allora, sperimentare e trovare ciò che convince di più per poi, finalmente, passare alla W del GROW: ricavare un Piano d’Azione ben formato caratterizzato dalle risposte: chi farà cosa, entro quando e come.
Questa è un’equazione assai efficace, sia in ambito lavorativo, sia personale, sia che vi muoviate da soli, sia che dobbiate prendere decisioni di gruppo. In ogni caso seguendo un modello decisionale si otterranno tre vantaggi fondamentali:
1- imposterete un metodo altamente produttivo ed efficace di analisi e azione;
2- distribuirete tra staff e dipendenti Consapevolezza verso i Processi e Responsabilità attuativa;
3- accorcerete di molto i tempi di avvicinamento ai vari obiettivi.
Ora, fare la cosa giusta è sia un onere che un onore. Perché quando agisci non lo fai solo per te stesso, ma come parte di un meccanismo, come se tu fossi un anello che contribuisce a tenere in piedi la catena.
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