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La Galite: microcosmo ponzese in terra d’Africa

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Di Francesco Tornielli –

Fin dalla colonizzazione borbonica del XVIII secolo i ponzesi si sono distinti nella pesca del corallo e dell’aragosta sviluppando metodologie singolari di arte marinaresca. Essi esportarono le loro innovative e più redditizie tecniche di lavoro in molti paesi rivieraschi del Mediterraneo: dalla Sardegna alla Dalmazia, dal nord Africa al Dodecaneso, allora sotto amministrazione italiana, all’isola d’Elba. Ancora oggi vengono utilizzate le barche vivaio per la pesca delle aragoste. 

Un isola in particolare è stata colonizzata per oltre un secolo, prima dai pescatori torresi e in seguito dai corallari e dagli aragostari  ponzesi: La Galite, “Jalita” in dialetto e in arabo, è una piccola isola nel canale di Sardegna, al largo delle coste tunisine.  La sua rassomiglianza con Ponza deve aver colpito non poco i ponzesi imbarcati sulle coralline e impegnati nella durissima raccolta del corallo praticata sui banchi che circondano l’isola tunisina.

ile de La Galite

Gli inizi

Frequentata prima saltuariamente come rifugio dai colpi di maestrale o come base di approvvigionamento idrico, venne in seguito abitata in modo stanziale grazie all’opera e alla tenacia di un personaggio dimenticato: Antonio D’arco, un giovane in fuga dall’isola natia perché accusato di aver ridotto in fin di vita un confinato durante una lite.

Dopo la metà del 1800, Antonio con la moglie e il fratello ruppe gli indugi e a bordo di una piccola “arca di Noè” occupò l’isola con polli, capre e sementi e ben sette fucili da caccia. Costruì dei terrazzamenti  per le coltivazioni e le prime case-grotta, dando una preziosa assistenza alle aragostare e alle corallare ponzesi durante la stagione di pesca. In pochi anni la comunità crebbe con afflusso di altre famiglie provenienti dall’isola madre.

Antonio D’Arco nella sua lunga vita governò questo microcosmo difendendolo dalle mire dei francesi e del Bey di Tunisi anche a colpi di schioppo, provocando anche incidenti diplomatici tra la Francia e il giovane Regno d’Italia per aver innalzato la bandiera italiana sul monte più alto. Provò, senza successo, a farsi ricevere dal ministro degli esteri del Regno per chiedere l’annessione dell’isola all’Italia, compiendo il viaggio a Roma con il suo bastimento a vela.

Di carattere duro, burbero e dispotico, esercitò il potere da monarca assoluto, assegnando le terre da coltivare, contraendo matrimoni, anche plurimi, sciogliendo le nozze a suo arbitrio o allontanando dall’isola gli indesiderati. La messa in mancanza di un parroco veniva celebrata dalla donna più anziana… il tutto in una sorta di autarchia/anarchia trionfante.

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ancoraggio di mezzogiorno

Enrico Alberto D’Albertis, uno dei fondatori dello Yacht Club Italia e capostipite del diporto nautico nel nostro paese, ci lascia una singolare descrizione dell’isola nella prima fase della sua colonizzazione. Siamo nel 1877 e Antonio D’Arco ha rioccupato La Galite dopo essere stato allontanato forzatamente dal Bey di Tunisi preoccupato dalla presenza stanziale di italiani sul suo territorio. Il D’Arco, dopo essere riparato a La Calle, in Algeria, è rientrato di nascosto sull’isola e si è portato dietro un vecchio pescatore tunisino a fungere da testa di legno. Usa un falso nome e prova a riorganizzarsi con cautela, così riporta Enrico D’Albertis:

Enrico D’Albertis

Nel 1872 un certo Antonio D’Arco, dell’isola di Ponza ed un suo fratello, entrambi ammogliati con figli si stanziarono sull’isola. Essi avevano stabilito la loro abitazione in spaziosa grotta, e dissodati i terreni, circoscritti alcuni campicelli con muricciuoli a secco, li coltivavano a grano, legumi e vite. Alcuni di questi già somministravano prodotti eccellenti, talché si poteva prevedere che il nuovo tentativo sarebbe riuscito, mentre d’altra parte il D’Arco nulla trascurava per divenir capo di numerosa colonia.

Ma il governo del Bey, non so per qual immaginario pericolo, o meglio di quale ubbia, mentre correva il Novembre 1873 spediva colà un vapore, il che è quanto dire tutta la sua flotta e costringeva il Ponzese e la famiglia di lui ad abbandonar l’isola. Però, le nostre autorità consolari, ottennero dal governo tunisino che fosse concessa al Ponzese un indennità di circa 1.000 piastre, a patto che egli e tutta la sua famiglia rinunziassero al soggiorno dell’isola. Egli acconsentì, ma nascostamente ritornò ai suoi campi e vi rimase fino all’epoca del raccolto che fu abbondantissimo; quindi si ritirò alla Calle e di là tien fissi gli occhi alle sue terre abbandonate, al sogno della sua vita. – E così la Tunisia è salva!

Dopo aver cacciato una foca monaca, raccolto, uccelli, piccoli rettili, alghe e insetti da metter sotto spirito per conto del museo civico di Genova di storia naturale, il D’Albertis decide di giocare un brutto scherzo al “Ponzese” e, arrivando nella baia davanti al villaggio alza bandiera tunisina:

Il lieto successo della mia spedizione zoologica m’aveva messo sì di buon umore che immaginai di fare una burla al pescatore Ponzese che sapevo inviso al Bey di Tunisi. Avvicinandomi alla rada, alzai la bandiera rossa colla mezzaluna e, dato fondo, scesi a terra. Chiamato il Ponzese gli chiesi “ex abrupto” se avea il permesso del Governo Tunisino di pescare nelle acque dell’isola; mi rispose un “si” impacciato e non seppe presentarmi alcuna carta in prova del suo asserto.

Io soggiunsi allora che non gli si poteva più permettere una simile usurpazione e, additandogli la bandiera rossa, gli domandai se non si era accorto che io veniva a sorvegliare l’isola per conto del Bey di Tunisi mio signore. Lo minacciai finalmente di cacciarlo all’isola se non giustificava la sua presenza con serii documenti. A dar più peso a questi argomenti ci eravamo coperti il capo coi rossi Fez tunisini e avevamo messo in batteria il nostro cannone.

Non è a dire se il povero pescatore rimanesse sorpreso e tuttoché stentasse a credermi, andava borbottando tali scuse che perdetti la mia serietà mussulmana, e scoppiando in una gran risata gli dissi: “Veniamo a patti: datemi un barile del vostro vino e il sale che mi abbisogna per conservare la pelle di foca ed io vi lascio tranquillo alle vostre pesche e il Governo non saprà nulla”. Il pescatore che cominciava ad inquietarsi, sbalordito e confuso dalla mia risata, mi promise tutto ciò che desideravo, lietissimo che si trattasse di uno scherzo e nulla più. Per compensarlo della paura provata gli diedi poi tutto il grasso della foca.

Pescatori aragostari

Sono tali e tanti gli episodi singolari… come quando, dopo l’occupazione francese della Tunisia nel 1881, La Galite fu data in affitto dalle autorità ad un allevatore bretone, il quale arrivato sull’isola con le sue bestie (mucche,  poco adatte al terreno scosceso) fu messo alla berlina a dai ponzo-galitesi  e costretto, dopo poco, a fare dietrofront tra gli sberleffi dei “napoletani”… così nei resoconti. Il povero gendarme tunisino messo di stanza sull’isola non veniva preso assolutamente in considerazione, ne rimane testimonianza negli innumerevoli rapporti inviati al suo comando. Le autorità francesi riuscirono nel tempo a regolarizzare la situazione imponendo agli isolani la cittadinanza francese. Dopo la prima guerra mondiale  le autorità francesi costruirono una scuola e inviarono una maestrina còrsa per alfabetizzare bambini e adulti. Singolare il resoconto della giovane insegnante e i suoi appunti sulle affinità tra il suo dialetto e il ponzese. La maestrina sposò un nipote di Antonio D’Arco. Un giorno sbarcò anche un parroco accompagnato dal Vescovo di Biserta che consacrò la chiesetta di San Silverio e proibì severamente i matrimoni plurimi e la messa celebrata dalle donne. 

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La Galite oggi

L’apogeo

La comunità ponzo-galitese raggiunse nel suo apogeo le trecento unità all’inizio degli anni venti del novecento e documenti francesi riferiscono la produzione di 600 ettolitri di ottimo vino e l’importazione diverse tonnellate all’anno delle più pregiate aragoste vive destinate alle tavole parigine e della costa azzurra durante la belle epoque di inizio secolo. Il trasporto del prezioso carico avveniva sulle aragostare-vivaio ponzesi, bastimenti a vela con lo scafo forato per permettere al mare di entrare ed uscire e mantenere in salute le aragoste fino all’arrivo a Tolone o a Marsiglia. Durante il secondo conflitto mondiale i galitesi si prodigarono nell’assistenza dei sommergibili italiani e tedeschi rifornendo d’acqua di cui l’isola è ricca e segnalando il passaggio del traffico nemico nel canale di Sardegna. 

Antonio D’arco

Dopo la seconda guerra mondiale, cominciò un declino lento e costante,  poiché i francesi adibirono l’isola a confino politico al pari di Ponza. Venne confinato sull’isola Habib Bourghiba, il padre dell’indipendenza tunisina, che visse nelle tradizioni ponzesi per alcuni mesi prima di essere liberato e diventare il primo presidente delle repubblica tunisina.

Il declino

Anche in seguito all’indipendenza della Tunisia e alla successiva revoca delle concessioni di pesca l’isola si spopolò rapidamente. Gli ultimi i ponzesi lasciarono La Galite nel 1982, chi tornò a Ponza, chi invece scelse di andare in Francia a Tolone e a Marsiglia. 

il piccolo cimitero

Oggi sull’isola, zona militare, è presente una guarnigione militare che alloggia nei ruderi delle case costruite dai ponzesi sullo stile architettonico dell’isola madre. È ancora presente (2015), in cima alla sella tra i due monti dell’isola, il piccolo cimitero con le foto sbiadite dei coloni. 

Sarebbe bello ricordarli con una semplice targa a memoria di una singolare storia del Mediterraneo.

Pr cresciuto nelle discoteche romane (Piper, Alien, Gilda), da 25 anni in estate faccio lo skipper e durante la stagione invernale sono restaurant manager. Negli ultimi 15 anni ho avviato e diretto la S. A. I. D. Antica fabbrica di cioccolato, bar caffetteria e ristorante. I miei hobbies la vela e la storia.

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