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Da Salvini a Lexy: viaggio in una Sicilia “diversa”

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Muhammed Sanneh era orfano quando lasciò il Gambia all’età di 16 anni per cercare di trovare un modo per sostenere i suoi due fratelli più piccoli.

Avevano vissuto tutti con sua nonna nella città settentrionale di Basse, dove la vita era una lotta quotidiana. Cinque anni e mezzo dopo, il giovane migrante – che preferisce prendere il soprannome d’infanzia di Lexy – vive in Sicilia, dove parla correntemente l’italiano ed è stato accolto da una famiglia locale.

I suoi genitori adottivi italiani dicono che è il figlio che avevano sempre voluto ma che non hanno mai avuto. In effetti, sono state le sue due sorelle italiane a tormentare i loro genitori perché lo adottassero dopo aver ammirato i suoi passi di danza in un campo di accoglienza dove era finito dopo essere stato salvato in mezzo al Mediterraneo dai soccorritori italiani. Era l’agosto 2015 quando il giovane arriva in quel campo ad Agrigento per minori migranti, gestito dai suoi futuri genitori, Antonio e Giusella Ferraro. Muhammed, per gli amici Lexy, prima di approdare in Italia aveva affrontato un traumatico e arduo viaggio di nove mesi partendo dal Gambia.

La storia di Lexy non è unica, alcuni italiani negli ultimi anni hanno avviato un processo di affidamento per favorire formalmente alcune delle migliaia di minori non accompagnati in arrivo da paesi come Nigeria, Mali, Gambia e Senegal.

Lexy e Giusella

Processi diversi.

Oggi è il giorno in cui inizia il processo a Matteo Salvini. Iter con rito ordinario giudiziario a Catania, non molto lontano dalla casa di Lexy. E’ quello del procedimento a carico dell’ex ministro dell’Interno imputato per sequestro di persona aggravato per il ritardo nello sbarco di 131 migranti che erano a bordo della nave Gregoretti. Non molto tempo fa in un suo intervento al Senato, l’imputato leader della Lega, in un attimo di concitazione in cui stava attaccando il governo sul tema immigrazione, ha detto qualcosa di emblematico: “I porti aperti hanno salvato vite, i porti chiusi condannano a morte migliaia di persone”. Forse non è proprio quello che pensava, ma il lapsus rivelava una verità, che Lexy come migliaia di altri giovani come lui, non avrebbero vissuto un lieto fine nella loro storia. Forse non avrebbero neanche vissuto.

Un giorno che rivela l’amaro contrasto che vive il nostro Paese. Da una parte si guarda agli immigrati come al pericolo numero uno per gli equilibri economici e sociali, per lo status quo, dall’altro si guarda a chi arriva da oltremare come all’opportunità da cogliere per fare la cosa giusta, essere parte di quel Paese che nella storia ha vissuto la diversità come una risorsa. Italia al centro del Mediterraneo, terra di porti e di mercanti, Di contaminazioni.

Così durante un viaggio in Sicilia oggi puoi imbatterti in un giovane migrante africano la cui vita è molto diversa dalle storie spesso tragiche di altri che fanno quel pericoloso viaggio dall’Africa verso l’Europa. Prima però, passando da Catania scopriresti una città blindata dove si giudica il diritto alla salvezza dei migranti, potresti imbatterti in qualche sostenitore di Salvini riunito al grido “Questo processo è una violenza alla Costituzione! Interrompere quel flusso di denaro delle Ong era doveroso“. Faccia di una medaglia che ne ha una diversa poco più in là, dalle parti del villaggio di San Leone. Lì puoi imbatterti in una famiglia unita che della diversità e dell’accoglienza ne ha fatto ricchezza. Allora puoi fermarti un attimo a chiederti quanto in effetti sia stata la famiglia Ferraro a cambiare la vita di Lexy, o quanto sia stato questo giovane ragazzo a migliorare la loro.

Foto di Canva Studio da Pexels

Foto di Kate Stanworth

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