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I’M soft skills: come fidarti della tua intuizione quando devi prendere una decisione

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Avevo appena comprato un nuovo paio di cuffie. Non era una scelta epocale — non si trattava di cambiare lavoro o lasciare un continente — ma per qualche ragione mi trovavo a fissarle come se dentro quel piccolo oggetto si nascondesse un enigma esistenziale. Le ho osservate, le ho toccate, ho pensato che la fascia superiore sembrava troppo rigida e i padiglioni un po’ troppo morbidi. Poi le ho indossate. Perfette. Un istante dopo mi è venuto in mente che fidarsi dell’intuizione funziona esattamente così: si ragiona, si dubita, poi si prova — e solo allora si capisce. Ma quando la decisione che dobbiamo prendere non riguarda un accessorio, bensì la nostra vita o quella di altri, possiamo davvero permetterci di ascoltare quella voce interna che chiamiamo intuito?


L’esperienza: quanto incide nelle decisioni

C’è un momento, in ogni giornata di lavoro, in cui qualcuno deve decidere. Non importa quanto democratico sia l’ufficio, prima o poi arriva quella frazione di secondo in cui ti chiedono: “Allora, che facciamo?”.
Ed è lì che tutto il tuo training accademico, i file Excel, le riunioni con PowerPoint, le consulenze pagate a caro prezzo, sembrano dissolversi come neve al sole. Resta solo quella voce dentro che ti sussurra una direzione.

Quando lavori in un ambiente competitivo, decidere non è mai un gesto neutro. Ogni scelta è una pietra lanciata nello stagno: genera onde che toccano colleghi, capi, partner. Proporre un cambiamento può significare inimicarsi qualcuno. Restare fermi può voler dire perdere un’occasione.
In famiglia non è diverso. Scegliere di accettare un nuovo incarico all’estero, di cambiare casa, di dire no a un progetto apparentemente “sicuro”: ogni decisione comporta conseguenze che non ricadono solo su di noi, ma su chi ci vive accanto.

E allora cosa facciamo?
Cerchiamo di “essere razionali”. Facciamo liste di pro e contro, calcoliamo percentuali, chiediamo pareri a tre amici fidati e poi, quando siamo esausti, torniamo sempre lì: alla sensazione iniziale.
Quel “sì” o “no” che era già comparso nel primo istante. Molte delle decisioni che ricordiamo come “corrette” nascono da un lampo. Il cervello impiega millisecondi per associare segnali, esperienze pregresse, emozioni registrate in background, e ne ricava un’impressione: la chiamiamo intuizione, ma è in realtà un archivio di milioni di dati che la nostra mente elabora a una velocità che la logica non può eguagliare.

L’ironia è che la maggior parte delle volte ce ne accorgiamo dopo.
Come quando scegli una strada alternativa per tornare a casa, e scopri che l’altra è bloccata da un incidente. O quando decidi d’istinto di non inviare quella mail scritta di getto, e ti salvi da un disastro relazionale. L’intuizione è come quelle cuffie di cui non sei sicuro finché non le provi: puoi leggere recensioni, comparare schede tecniche, chiedere consigli, ma finché non le indossi non saprai se ti calzano a pennello.
Il problema è che, nelle decisioni importanti, provarle significa esporsi. E nessuno ama esporsi, specie quando ci sono di mezzo colleghi, clienti, o persone amate. Tuttavia, ogni volta che rimandiamo una decisione per paura di sbagliare, lasciamo che la razionalità spenga la voce dell’esperienza. L’intuizione non è un capriccio, è il risultato invisibile di tutto ciò che abbiamo imparato senza accorgercene.

Eppure, la domanda resta:
possiamo davvero fidarci della nostra intuizione, o è solo una trappola della mente?

la scienza dell’intuizione

L’intuizione non è magia. È biologia applicata all’esperienza.
Le neuroscienze lo dicono chiaramente: ciò che chiamiamo “voce interiore” è il risultato di un processo complesso in cui il cervello mette insieme memoria, emozione e riconoscimento di schemi. Un calcolo rapidissimo, eseguito fuori dalla nostra consapevolezza.

Lo psicologo e premio Nobel Daniel Kahneman ha definito questa dinamica come interazione tra Sistema 1 (rapido, automatico, intuitivo) e Sistema 2 (lento, analitico, razionale). Il primo è quello che ci fa frenare un istante prima dell’incidente, il secondo quello che ci spiega dopo perché abbiamo fatto bene a farlo.
L’intuizione è il pilota automatico di un aereo che vola da anni: non sbaglia perché ha memorizzato migliaia di microesperienze.

Secondo Antonio Damasio, neuroscienziato portoghese dell’University of Southern California, ogni decisione passa attraverso ciò che lui chiama “marcatori somatici”: sensazioni fisiche che segnalano al cervello cosa è stato, in passato, positivo o negativo per noi. Quando diciamo “lo sento dentro”, non stiamo parlando per metafora — lo stiamo davvero sentendo.

L’amigdala, la parte del cervello che gestisce emozioni e istinti, lavora in sinergia con la corteccia prefrontale, che valuta le conseguenze. Quando la prima riconosce un pattern familiare, invia un segnale: un piccolo impulso elettrico che produce quella sottile percezione di certezza o allarme. È la nostra bussola biologica.

Eppure, in un contesto competitivo — una riunione, una trattativa, un confronto con il capo — fidarsi di quel segnale sembra rischioso.
La società ci ha insegnato che la razionalità è sinonimo di affidabilità e che l’istinto, al contrario, è impulsivo, primitivo, femminile, quasi sospetto.
Ma i dati dicono altro.

Uno studio pubblicato sull’Harvard Business Review ha mostrato che i leader che prendono decisioni intuitive, integrate con l’analisi dei dati, hanno una probabilità del 32% più alta di ottenere risultati positivi nei processi di innovazione.
Il motivo? L’intuizione riduce il rumore cognitivo e velocizza il processo decisionale, specialmente quando il tempo è limitato o le variabili sono troppe.

Il neuroscienziato Gerd Gigerenzer, autore del libro Gut Feelings: The Intelligence of the Unconscious, sostiene che “l’intuizione è intelligenza inconscia” e non il contrario della ragione. È una forma di conoscenza sedimentata: un sapere che si manifesta in tempo reale.

Pensaci: un chirurgo che decide in pochi secondi durante un’operazione, un trader che chiude una posizione un attimo prima del crollo, un genitore che sente che qualcosa non va in suo figlio.
Nessuno di loro ha “indovinato”. Hanno riconosciuto un pattern invisibile.

La differenza tra intuizione e istinto puro è l’esperienza.
L’istinto reagisce, l’intuizione interpreta.
E come ogni linguaggio, anche l’intuizione si affina: più la ascolti, più diventa precisa.

Eppure, non basta “seguire il cuore”.
Il cervello umano può confondere un riflesso emotivo con un segnale intuitivo, specialmente in situazioni di stress. Le neuroscienze suggeriscono che la vera intuizione è calma, non impulsiva: arriva come una chiarezza improvvisa, non come un’urgenza.
È quel momento in cui tutto si allinea e, per un istante, sai cosa fare — anche se non sai ancora spiegare perché.


focus box

5 segnali per capire se puoi fidarti del tuo intuito

  1. Chiarezza immediata – la decisione “giusta” appare semplice, non confusa.
  2. Assenza di ansia – senti una calma lucida, non una pressione.
  3. Coerenza interiore – mente e corpo reagiscono nella stessa direzione.
  4. Ripetizione spontanea – la stessa idea ritorna più volte nei giorni successivi.
  5. Risonanza emotiva – pensare a quella scelta ti dà energia, non paura.

L’arte di decidere

Prendere una decisione, in fondo, è un atto di fiducia.
Non solo verso gli altri, ma verso se stessi. È un momento in cui la mente e il corpo devono smettere di discutere e trovare un punto d’accordo, come due strumenti che improvvisamente si accordano sulla stessa nota. Nel mio lavoro di coach ho visto persone bloccarsi per settimane su una scelta apparentemente banale. Non perché non avessero dati, ma perché non riuscivano più a sentire la loro voce interiore.
Quando si perde la connessione con l’intuizione, si comincia a delegare tutto: l’approvazione al capo, la direzione al gruppo, la felicità al caso.
Eppure, le decisioni più potenti nascono proprio da quella breve scintilla in cui il pensiero razionale si ferma e la consapevolezza prende la parola.

La verità è che l’intuizione non è un dono, ma una competenza.
Come un muscolo, va allenata.
E l’allenamento più efficace è l’ascolto: di sé, degli altri, delle reazioni sottili che attraversano il corpo.
Quando ti accorgi che una decisione ti lascia una sensazione di pesantezza, forse stai forzando una direzione. Quando invece avverti un’espansione, anche se non hai ancora tutte le risposte, probabilmente hai imboccato la strada giusta.

Per riconoscerlo, serve silenzio.
Non il silenzio dell’indifferenza, ma quello che precede una buona musica: quel momento in cui tutto tace, e il suono che arriva dopo sembra inevitabile.
Nelle decisioni complesse — sul lavoro, in famiglia, nei legami — la mente analitica è il tecnico del suono, ma l’intuizione è il musicista. E non si può suonare solo con i dati.

Prova a chiederti:

  • Cosa sto davvero cercando di proteggere, decidendo o non decidendo?
  • La mia paura riguarda il risultato o l’immagine che voglio mantenere agli occhi degli altri?
  • Se nessuno potesse giudicarmi, cosa sceglierei ora?

Le neuroscienze dicono che ogni decisione lascia un’impronta fisica nel cervello: i circuiti della fiducia si rinforzano o si indeboliscono in base alla coerenza tra ciò che pensiamo e ciò che facciamo.
Ogni volta che segui la tua intuizione e la realtà conferma che avevi ragione, il cervello registra un “sì” più profondo, un’autorizzazione a fidarti di te stesso la volta successiva.

Alla fine, fidarsi dell’intuizione non significa ignorare la logica, ma integrare il sapere visibile con quello invisibile.
È un modo di stare al mondo più completo, più rotondo, più umano.
E nelle decisioni che contano davvero — quelle che toccano persone, non numeri — questa integrazione è tutto. Forse, la decisione giusta non è quella che mette tutti d’accordo, ma quella che dentro di te produce un suono limpido e riconoscibile. Come un paio di cuffie perfettamente calibrate: non servono grafici, recensioni o algoritmi.

Ti basta indossarle, e capisci subito che suonano esattamente come dovrebbero.

Paul Fasciano, Direttore di InsideMagazine e del Gruppo Editoriale Inside, è un mental coach prestato al mondo della comunicazione digitale. Con un background accademico in sociologia e una formazione in PNL, mindfulness e neuroscienze, ha dedicato oltre tre decenni allo studio delle dinamiche sociali odierne. E' autore di varie pubblicazioni incentrate sulla crescita personale nel complesso contesto contemporaneo. La sua missione è fornire ai professionisti le informazioni più aggiornate e rilevanti, migliorando la loro comunicazione e potenziando il loro mindset con strategie efficaci e mirate.

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