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Italia ed Europa, pressione sanzioni: quali scelte restano?

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Le sanzioni economiche contro la Russia, introdotte a partire dal 2014 e rafforzate negli ultimi anni, hanno generato un terremoto silenzioso che continua a scuotere l’economia italiana ed europea. Lungi dall’essere un mero strumento geopolitico, queste misure hanno inciso in modo rilevante su settori strategici come il manifatturiero e l’agroalimentare. A distanza di oltre un decennio, l’Europa si scopre fragile: schiacciata tra le pressioni statunitensi, l’espansione cinese e la resilienza russa. Ma qual è il prezzo reale pagato dalle imprese italiane? E quali scenari si aprono di fronte all’avanzata dei BRICS e alla paralisi decisionale europea?


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L’impatto silenzioso delle sanzioni su Europa e Italia

Dal 2014 le sanzioni economiche hanno ridisegnato la mappa del commercio europeo. Per l’Italia, il conto è stato significativo: stime politiche hanno parlato di 12 miliardi di mancate esportazioni complessive, con circa 2 miliardi attribuiti al Veneto, mentre analisi di categoria (Coldiretti) hanno calcolato 1,25 miliardi di perdite già a partire dal 2014 nel comparto agroalimentare. Si tratta di cifre che mostrano la portata di una frattura destinata a lasciare segni duraturi.

L’effetto collaterale è stato evidente: a fronte dell’obiettivo di indebolire la Russia, l’export europeo si è contratto e i competitor asiatici hanno guadagnato terreno. La Cina ha aumentato del 40% la propria quota di export agroalimentare verso Mosca, sostituendo progressivamente prodotti italiani e comunitari. Anche il turismo ha subito contraccolpi: la spesa dei viaggiatori russi in Italia è crollata allo 0,2% del totale nel 2022, rispetto all’1% del 2021 (dati Bankitalia).

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Il paradosso è che l’Europa, con i suoi 450 milioni di consumatori, pensava che la dimensione del mercato interno fosse di per sé una garanzia di potere. La realtà ha mostrato il contrario: Stati Uniti, Cina e Russia hanno giocato come blocchi coesi, mentre Bruxelles ha faticato a trovare una linea comune. Il risultato è un continente percepito come fragile, con imprese costrette a cercare stabilità e sbocchi fuori dai confini comunitari.


📊 Box dati — Sanzioni e impatto sull’Italia

  • Perdite complessive: Stime politiche hanno parlato di 12 miliardi di mancate esportazioni italiane dal 2014 a oggi, con circa 2 miliardi attribuiti al solo Veneto.
  • Agroalimentare: Secondo Coldiretti, nel solo 2014 il comparto ha perso oltre 1,25 miliardi di euro di export verso la Russia.
  • Competitor asiatici: La Cina ha aumentato del 40% la quota di mercato agroalimentare in Russia nello stesso periodo, sostituendo parte dei prodotti italiani.
  • Turismo russo: La spesa dei viaggiatori russi in Italia è scesa dall’1% del totale nel 2021 allo 0,2% nel 2022 (dati Bankitalia).
  • Europa fragile: Nonostante un mercato interno di circa 450 milioni di consumatori, l’UE ha mostrato vulnerabilità strutturale e lentezza decisionale.

I BRICS e il nuovo ordine economico

Mentre l’Europa fatica a trovare coesione, i BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica, recentemente allargati a Paesi come Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti) consolidano la loro posizione come alternativa credibile all’ordine economico occidentale. Secondo dati IMF a parità di potere d’acquisto, il blocco rappresenta oggi circa il 40% del PIL mondiale, superando il G7.

Il segnale più tangibile è la New Development Bank, che ha già approvato progetti per oltre 39 miliardi di dollari complessivi e gestisce un portafoglio attivo superiore ai 35 miliardi (fine 2024). Parallelamente, Arabia Saudita ed Emirati hanno avviato una parte degli scambi energetici in yuan, erodendo la centralità del dollaro e aprendo a nuove architetture finanziarie globali.

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Per l’Italia, questo significa operare ai margini di mercati in espansione e catene di fornitura che si riorganizzano altrove. Mentre le fabbriche europee rallentano, la Cina riversa la sua capacità produttiva sul continente e la Russia rafforza i legami con Asia e Medio Oriente. In questo scenario, le imprese italiane soffrono la mancanza di stabilità, accesso ai mercati e regole prevedibili.

Come ha spiegato recentemente Daniele Pescara in un’intervista su QuiDubai.com, “l’assenza di regole certe e la burocrazia paralizzante spingono sempre più aziende a guardare a Dubai come hub strategico. Non si tratta di un miraggio fiscale, ma di un ecosistema capace di garantire tempi certi, banking trasparente e regole prevedibili. Una differenza sostanziale rispetto all’Europa, dove ogni nuova misura sembra aggiungere complessità senza offrire reali soluzioni”.

daniele pescara EUROPA DUBAI

LEGGI L’INTERVISTA INTEGRALE SU QUIDUBAI.COM


🌐 Box focus — L’ascesa dei BRICS

  • Peso globale: Secondo il FMI (PPP), i BRICS rappresentano circa il 40% del PIL mondiale, superando il G7.
  • Nuova Banca: La New Development Bank, con sede a Shanghai, ha approvato progetti per 39 miliardi di dollari e gestisce un portafoglio attivo superiore a 35 miliardi (fine 2024).
  • Energia e valute: Arabia Saudita ed Emirati, entrati nel blocco nel 2024, hanno avviato scambi energetici in yuan, riducendo il peso del dollaro.
  • Commercio intra-BRICS: Gli scambi interni sono cresciuti di oltre il 50% nell’ultimo decennio, rafforzando la resilienza del gruppo rispetto ai mercati occidentali.
  • Europa a rischio marginalità: Restando fuori da questi processi, l’UE rischia di perdere accesso privilegiato a catene di fornitura e mercati emergenti.

Il futuro dell’Europa tra inerzia e coraggio

Le sanzioni hanno mostrato l’Europa per quello che è: un colosso che inciampa nelle proprie regole, convinto che la sola dimensione del mercato interno basti a garantirne la centralità. Mentre gli Stati Uniti usano i dazi come strumenti negoziali e la Cina orchestra filiere e credito come un gigante paziente, Bruxelles continua a produrre normative dettagliatissime mentre le imprese chiudono commesse e perdono clienti.

Eppure, guardando la mappa globale, si scorgono modelli alternativi. Singapore resta un hub per governance e stato di diritto, Hong Kong mantiene attrattiva finanziaria nonostante le pressioni politiche, Riyadh e Doha puntano su investimenti infrastrutturali colossali per trasformarsi in capitali globali, e Dubai si conferma piattaforma neutrale dove licenze e banking si ottengono in tempi certi. Questi luoghi hanno scelto la semplicità come leva competitiva: poche regole, ma stabili e comprensibili.

Per le imprese italiane, il contrasto è evidente. In Europa l’incertezza fiscale, la sua crescente pressione e la burocrazia paralizzano, mentre fuori dai confini comunitari emergono sistemi capaci di offrire prevedibilità, rapidità e accesso a mercati globali. Sono paradisi senza problemi? Dipende, certamente sono ecosistemi che hanno capito un principio semplice: senza regole chiare, non c’è investimento sostenibile.

La morale per la zoppicante Europa: il tempo non è infinito. Il Vecchio Continente può ancora ricalibrare la sua rotta con una politica industriale comune, una fiscalità armonizzata e un dialogo reale con i nuovi poli economici. Ma sarà in grado la sua attuale classe politica di costruire un destino diverso? Diversamente, rischia di restare spettatrice in un mondo che corre. E correre, oggi, significa guardare oltre i propri confini — che sia Dubai, Singapore o Riyadh — per non scoprire troppo tardi che il baricentro dell’economia si è già spostato altrove.

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