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Lavorare con lentezza: l’esempio di Tim Urban

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Maria Casagrande, Employee Experience ed Employer Branding pubblica il suo parere sul fitto e disordinato mondo delle assunzioni.

Per trovare un valido orientamento possiamo seguire il suo suggerimento: “Ammetto che, a discapito di tutto il contenuto intellettuale che esiste sul pianeta, mia grande bussola è sempre stato Tim Urban e il suo Yearning Octopus (lo trovate qui: https://lnkd.in/dRmU8C7).

Trovare un valido orientamento

Yearning Octopus è’ un polipo molto carino che spiega, tra le altre cose, quanto sia importante bilanciare bisogni e desideri diversi.

Con il nostro ultimo progetto #EY4NextGeneration penso di aver sbaragliato il mio Yearning Octopus personale, perchè siamo riusciti a:

1) Perseguire uno dei 17 obiettivi delle Nazioni Unite per la crescita sostenibile: supportare le nuove generazioni
2) Unire un numero spropositato di colleghi nel donare le loro competenze per aiutare i giovani italiani
3) Raccontare quel misto di competenze, menti e cuori che è #EY
4) Imparare parecchie cose nuove
5) Lavorare con un gran bel team

Volete darci un’occhiata? “

Le carriere secondo Tim

Ecco allora la visione di Tim Urban: “La società ci dice molte cose su cosa dovremmo volere in una carriera e quali sono le possibilità, il che è strano perché sono abbastanza sicuro che la società sappia molto poco di tutto questo. Quando si tratta di carriera, la società è come il tuo prozio che ti intrappola durante le vacanze e fa un monologo di 15 minuti per lo più incoerente con consigli non richiesti, e tu ti sintonizzi quasi tutto il tempo perché è super chiaro che non ha idea di cosa sta parlando e che tutto ciò che dice è oramai vecchio di 45 anni. La società è come quel prozio, e la saggezza convenzionale è come il suo sfogo. Ma in questo caso, invece di ignorarlo, prestiamo grande attenzione a ogni parola, e poi prendiamo importanti decisioni di carriera in base a ciò che dice. Una cosa un po’ strana per noi da fare.”

Prendere decisioni di carriera che riflettono effettivamente chi sei, cosa vuoi, in base a come appare il panorama del lavoro in rapida evoluzione, oggi. Questo è ciò che siamo chiamati a fare, secondo Tim. Giovani e professionisti con esperienza, si trovano spesso di fronte a nuove sfide e come affrontarle, col mindset giusto e il know-how giusto, fa una certa, preponderante differenza. “Tu sei sicuramente più qualificato rispetto al nostro prozio inconsapevole per capire cosa è meglio per te. Per quelli di voi che devono ancora iniziare la loro carriera e che non sono sicuri di cosa volete fare della vostra vita, o quelli di voi attualmente nel mezzo della vostra carriera che non sono sicuri di essere sulla strada giusta, spero che questo post possa aiutarvi a premere il pulsante di ripristino sul vostro processo di pensiero e ottenere un po’ di chiarezza.”

Questo l’incipit di Tim Urban su un argomento scottante, spesso trattato sulle pagine di I’M: cosa fare del nostro futuro? Cosa delle nostre carriere e delle nostre vite?

Sappiamo quello che stiamo facendo o ci muoviamo nel mondo di oggi con le convinzioni di ieri, come fa il prozio di cui parla il nostro autore? Il quale ci conduce ad un’ultima riflessione: “E’ molto bello pubblicare questo post. È passato troppo, troppo tempo e un sacco di idee accumulate senza condividerle sul blog. L’ultimo anno è stato piuttosto frustrante per me e per chiunque ami Wait But Why (Wait But Why è un sito web fondato da Tim Urban e Andrew Finn e scritto e illustrato da Urban. Il sito copre una vasta gamma di argomenti). La maggior parte del mio ultimo anno è stata spesa lavorando su altro. Grazie, come sempre, al piccolo gruppo di clienti ridicolmente generosi e ridicolmente pazienti che sono rimasti con noi in un periodo così lento.” Continua QUI l’articolo di Tim Urban.

Periodi lenti

“Un tempo gli operai non erano servi. Lavoravano. Coltivavano un onore, assoluto, come si addice a un onore. La gamba di una sedia doveva essere ben fatta. Era naturale, era inteso. Era un primato. Non occorreva che fosse ben fatta per il salario, o in modo proporzionale al salario. Non doveva essere ben fatta per il padrone, né per gli intenditori, né per i clienti del padrone. Doveva essere ben fatta di per sé, in sé, nella sua stessa natura. Una tradizione venuta, risalita dal profondo della razza, una storia, un assoluto, un onore esigevano che quella gamba di sedia fosse ben fatta. E ogni parte della sedia che non si vedeva era lavorata con la medesima perfezione delle parti che si vedevano. Secondo lo stesso principio delle cattedrali.

E sono solo io – io ormai così imbastardito – a farla adesso tanto lunga. Per loro, in loro non c’era allora neppure l’ombra di una riflessione. Il lavoro stava là. Si lavorava bene. Non si trattava di essere visti o di non essere visti. Era il lavoro in sé che doveva essere ben fatto.

Charles Peguy, L’Argent, 1913

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Forse il miglior modo per introdurre il domani è con una riflessione sulla lentezza. Ci siamo arrivati: tante parole per tornare a un participio presente. Fare le cose per bene, non tanto perché qualcuno le chiede così, ma perché qualcosa in noi vuole riprodurre una perfezione archetipica. Nel cercare un lavoro, cerchiamo noi stessi. Nel fare un mestiere, esprimiamo noi stessi. Una ricerca di sé che si riversa nell’oggetto delle nostre fatiche. Ed è per questo che quando questi due aspetti combaciano, ci sentiamo soddisfatti, appassionati, motivati. Ieri come oggi non è tanto il lavoro di per sé il punto di arrivo, ma il viaggio che si definisce in questa ricerca che, se si è disposti a viaggiare, può rivelarci al nostro mondo e rivelare a noi stessi quel mondo.

Comportamenti e parole cambiano la vita. Paolo Borzacchiello, esperto di  intelligenza linguistica: «Ecco quelle da non dire mai»

Il tema è di un certo peso e ci parla del fatto che la nostra realtà non è data. Paolo Borzacchiello addirittura parla nei suoi libri, e nella sua HCE University, del fatto che la realtà non esiste. Una provocazione? Sembra di no più, invece, un dato scientifico.

E’ il “frame”, la cornice dentro la quale inseriamo l’esperienza, che le dà valore e senso. Dunque, attraverso l’esperienza del metterci in gioco, dell’esprimerci, del portare a termine compiti e risolvere questioni, facciamo la continua e affascinante scoperta di chi siamo in relazione a chi e cosa ci circonda. Un bel viaggio in cui – torniamo qui a Tim Urban – “improvvisamente ti ritrovi a tenere le chiavi della cabina di pilotaggio, con il compito di rispondere allo stress di domande macro come “Chi sono io?” e “Quali sono le cose importanti nella vita?” e “Quali sono le mie opzioni per i percorsi e quale dovrei scegliere e come posso creare il miglior percorso?”. Hai pressappoco 250.000 ore a disposizione per sperimentarlo, sentenzia Urban. Il calcolo è presto fatto:  una lunga vita umana dura circa 750.000 ore. Quando sottrai l’infanzia (~ 175.000 ore) e la parte della tua vita adulta che trascorrerai dormendo, mangiando, facendo esercizio e prendendoti cura dell’animale domestico umano in cui vivi, insieme a commissioni e manutenzione generale della vita (~ 325.000 ore), ti rimangono 250.000 “ore significative” in età adulta”.

In questo lasso di tempo “utile” tre sono i fattori importanti: Qualità della vita. L’impatto che avrà sugli altri e sul mondo: “Ogni vita umana tocca migliaia di altre vite in migliaia di modi diversi, e tutte quelle vite che alteri poi continuano a toccare migliaia di vite ancora.“. Identità: “nella nostra infanzia, le persone ci chiedono dei nostri piani di carriera chiedendoci cosa vogliamo essere da grandi. Quando cresciamo, raccontiamo alle persone le nostre carriere dicendo loro cosa siamo . Non diciamo: “Io pratico la legge”, diciamo: “Sono un avvocato“. Questo è probabilmente un modo sviante di pensare alle carriere, ma per come sono molte società in questo momento, la carriera di una persona quadruplica l’identità primaria di quella persona. Che è una cosa “grossa” – avverte Urban.

Ogni tentacolo del polipo disegnato da Tim ha qualcosa da dire. Ci comunica che il percorso in cui siamo calati ci dimostra costantemente qualcosa di noi. Il tentacolo dei “desideri personali” è probabilmente il più difficile da generalizzare: è piuttosto diverso per ognuno di noi. È un riflesso della nostra specifica personalità e dei nostri valori, e porta il peso del bisogno umano probabilmente più complesso e sfidante: la realizzazione

L’invito è quello di andare ad approfondire (QUI) tutti i tentacoli del simpatico polipetto, celebrando un’autoanalisi schietta di chi siamo in relazione a chi vogliamo essere. Qualcosa che si realizza certamente pensando e programmando, ma anche e soprattutto facendo. Presupposto di questo articolo è il “fare bene” secondo ciò che ci assomiglia, che ci realizza e che ci porta dove siamo proprio noi stessi, la nostra identità. La ricerca di sé si conclude sempre in un luogo fantastico in cui ci ri-conosciamo. Lo sappiamo quando proviamo quella certa sensazione di felicità, libertà, o quando viviamo stati di flusso. Il flusso è quel qualcosa che succede proprio quando entri in un “frame” di coerenza tra chi sei, cosa ti proponi e cosa stai facendo. Per approfondire, abbiamo parlato di flow in molti articoli qui su I’M:

Fare le cose “fatte bene” vuol dire allora essere presenti, dedicare il tempo adeguato, all’impegno richiesto in base al risultato cercato. E il risultato deve poter combaciare, almeno una buona parte di volte, con la realtà di chi siamo.

Lavorare con lentezza, dunque. Forse un messaggio appena sfiorato nelle parole di Urban, ma vivido nel suo esempio. In quel suo sito che si è preso del tempo per essere meditato e poi “fatto bene”, non in base a qualche presupposto atteso, ma in base al sentimento del suo autore. E allora in questo ha ragione Maria Casagrande, Tim Urban è una bussola.

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